Cultura

Addio a Paolo Graziosi, maestro di teatro

Tanto cinema d'autore, popolare nella stagione sceneggiati Rai

Redazione Ansa

 Per Paolo Graziosi, attore di cinema, maestro di teatro, volto familiare della grande tv pubblica che se ne è andato stamane di prima mattina all'ospedale San Bortolo di Vicenza, si dovrebbe scrivere un'elegia della felice normalità: grande sulla scena, semplice e umano nella vita con tutte le sue contraddizioni e difficoltà. Era nato a Rimini il 25 gennaio del 1940, qualche mese prima che l'Italia entrasse in guerra e aveva sempre seguito con tenacia la sua vocazione artistica, fino ad approdare a una prima notorietà nel 1962 grazie al cinema con cui esordiva nel film dell'ex aiuto-regista di Germi e Rosi, Enzo Battaglia, ne "Gli arcangeli". Cinque anni dopo Marco Bellocchio lo volle nel cast de "La Cina è vicina" per il ruolo del mefistofelico Carlo: un personaggio che raccoglieva tutta l'ambiguità dei tempi e che fu spesso anche il tratto distintivo di un interprete che poteva però calarsi nei panni più diversi e che, proprio per la sua duttilità e la robusta scuola teatrale, diventò punto di riferimento della sua generazione. Negli anni della grande ribellione, tra il '68 e gli anni '70, Paolo Graziosi avrebbe lavorato con i migliori esponenti del nuovo cinema italiano, da Liliana Cavani ("Galileo") a Salvatore Samperi ("Cuore di mamma"), sarebbe stato cercato dai "maestri" (Luigi Comencini, Francesco Rosi, Giuseppe Patroni Griffi), mantenendo sempre forte il sodalizio con Marco Bellocchio che aveva già incontrato agli esordi nell'amatoriale "Ginepro fatto uomo" del 1962. In realtà però la sua vocazione era profondamente legata al teatro, all'emozione della scena che ogni sera è diversa e con la quale si sarebbe misurato tutta la vita cavalcando i classici (Euripide, Shakespeare, Goldoni), i moderni (Pirandello, Ibsen) e i modernissimi (Beckett, Ionesco, Pinter) a cominciare da quel Mercuzio di "Romeo e Giulietta" per cui lo scelse Franco Zeffirelli nel 1964. Furono del resto proprio il teatro e la grande letteratura a renderlo popolare nella Rai degli anni '70 tra "Ritratto di signora" e "Le affinità elettive" con registi come Vittorio Cottafavi, Sandro Sequi, Gianfranco De Bosio.
Negli ultimi anni, nonostante una durissima battaglia, vinta alla fine, contro il cancro, non aveva mai rinunciato a lavorare: basti citare la sua memorabile "Lezione" di Ionesco e l'Oscar del teatro nel 2005 per "Sei personaggi in cerca d'autore"; i ruoli in fiction di successo come "Il commissario Montalbano" e "Chiara Lubich" dello scorso anno; la chiamata di Nanni Moretti ("Tre piani") e Pupi Avati (l'ancora inedito "Dante") per il grande schermo. "Per lui la recitazione e il teatro erano vocazione, mai mestiere - dice adesso la figlia Viola che ne ha ripreso il testimone assecondata fin da bambina in questa passione -. Mi ricordo quando piccolissima lo seguivo in camerino: una volta mi chiese di lasciarlo solo per concentrarsi e io, a caccia di applausi, andai in scena nell'intervallo dichiarando al pubblico 'Tutti zitti che papà si sta concentrando!'. Per anni scrutò attento le mie prime prove per capire se non mi limitassi a cercare il brivido dell'esibizione. Quando lo convinsi divenne il mio primo spettatore e lavorare con lui è stato uno dei più grandi privilegi della mia carriera. In questi giorni sto preparando la 'Medea' di Luciano Violante e c'è una replica che ho voluto regalare a mio padre pochi giorni fa per il suo compleanno. Dice ' Combattere, non vincere, è l'abito degli eroi': ecco, questa è stata la vita di Paolo Graziosi, capace di combattere la sua malattia vincendo l'ultima battaglia per poi lasciarsi andare per le conseguenze del Covid. Lo ringrazio perché in questi ultimi mesi ci ha dato il tempo, a me, mio fratello, mia madre, di essergli vicino in una veglia piena di tenerezza anche quando, come nell'ultima telefonata, già gli mancava il respiro.
Con lui siamo stati davvero famiglia, fino all'ultimo, come in questa bella giornata di sole in cui, a distanza, lo salutiamo ancora". Di Paolo Graziosi a noi spettatori, resta invece il ritratto di un uomo dalle molte qualità che sapeva mimetizzarsi ogni volta, nella normalità dell'eroismo quotidiano: mai sopra le righe, mai una maschera, sempre un attore. Per lui il teatro prepara una festa perché dirgli addio vuol dire non disperderne la lezione, il talento, la vocazione.

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