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Veneziani, Uniformi e dispersi, siamo tutti 'Scontenti'

Saggio sul sentimento che più di ogni altro ci rappresenta

Redazione Ansa

MARCELLO VENEZIANI, SCONTENTI. PERCHE' NON CI PIACE IL MONDO IN CUI VIVIAMO (Marsilio, pp. 176, 18 euro)

"Uniformi e dispersi", manchevoli sempre di qualcosa e quindi continuamente dirottati verso nuovi desideri, bisogni e priorità. "Bersagli mobili", tuttavia facilmente individuabili grazie alle nuove tecnologie, un esercito di perenni insoddisfatti tenuti sotto giogo da un nuovo potere fondato sull'economia e sulla tecnica, che esercita il suo dominio attraverso forza pubblica, burocrazia degli apparati e persuasione di massa. E' questa la fotografia di cosa siamo diventati secondo Marcello Veneziani che nel suo appassionato saggio "Scontenti", edito da Marsilio, indica nella scontentezza lo stato d'animo che caratterizza i nostri tempi.
    "Male oscuro della vita presente", la scontentezza è un sentimento tipicamente occidentale, che pervade ogni aspetto delle nostre esistenze, da quelli più intimi e personali a quelli professionali. L'assunto iniziale è che oggi, pur vivendo più a lungo e in condizioni migliori rispetto al passato, in noi "si è spento o affievolito il piacere di vivere". Con ragionamenti puntuali e riferimenti colti che si alternano a richiami all'attualità, l'autore compone per il lettore pagine in cui il suo pensiero complesso ma sempre approfonditamente motivato scorre con chiarezza, aprendo la strada a interessanti riflessioni.
    Secondo Veneziani, siamo ormai tutti smarriti, tristi, e perennemente alla ricerca di altro - dentro e fuori di noi -: una sorta di 'esercito di scontenti', sulle cui gambe però si muove il mondo (e anche l'economia). La fiamma della nostra insoddisfazione (che, chiarisce l'autore, è uno stato d'animo ben definito, da non confondere con infelicità o inquietudine) è alimentata dal contrasto ormai insanabile tra realtà e desideri allargati a dismisura, ma anche dalle incertezze del mondo attorno a noi, come la guerra e la crisi ambientale, l'economia traballante e la debolezza della politica, perfino la decadenza dei rapporti umani, in quella che Veneziani definisce la "perdita delle differenze nel segno dell'omologazione e la perdita delle comunanze nel segno dell'atomizzazione".
    Proprio perché è la molla che ci spinge sempre a fare, senza fermarci mai, la scontentezza è merce preziosa: lo è per il potere politico, che la cavalca ma vuole pilotarla, rivolgendola verso gli individui, e non verso la collettività per evitare che si trasformi in aperta protesta, e lo è per il potere economico, che vuole renderci sempre più consumatori. L'essere eternamente incontentabili spinge sempre verso qualcosa di diverso (e lo dimostrano le scelte politiche dei cittadini che negli ultimi tempi hanno spesso premiato alle urne il 'nuovo' o comunque i partiti di opposizione), ma non è detto che sia per forza un male: perché l'insoddisfazione, se viene messa a frutto, può rappresentare per ognuno di noi un punto di svolta, uno strumento di crescita personale e magari chissà anche collettiva.
    "Lo scontento può spingere alla conoscenza, al contento si addice la riconoscenza. Se pensare è ringraziare (Heidegger), se conoscere è ricordare (Platone), contenti vuol dire essere grati, riconoscenti alla fonte", riflette Veneziani. "Lo scontento può spingere a migliorare se stessi, gli altri e il mondo; ed è giusto esprimere lo scontento quando prevale l'ingiusto, il falso, il brutto e il cattivo. È sterile lo scontento quando investe l'insormontabile, che chiamiamo destino. La virtù sta nel trovare l'interruttore che accende o spegne lo scontento. Se padroneggi quell'interruttore lo scontento può perfino giovare…". 
   

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