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Scurati, la cancel culture è sottocultura, va rifiutata

Lo scrittore, nessuna liberazione si attua con l'oppressione

Antonio Scurati

Redazione Ansa

Cancellare la cultura di un Paese perché è imperialista "è un gesto totalmente insensato. E per me questo non vale solo per la Russia, ma in generale per quella che chiamiamo cancel culture anche e soprattutto quando si rivolge ad autori, opere, fenomeni culturali che si ritengono portatori di maschilismo, sessismo, razzismo". Lo dice all'ANSA Antonio Scurati, Premio Strega con M. il figlio del secolo (Bompiani), di cui sta scrivendo il terzo volume, che uscirà presto ma annuncia "non sarà l'ultimo". "Credo che nel suo insieme la cancel culture sia una sottocultura degenere che va rifiutata anche e soprattutto perché non raggiunge affatto gli obiettivi che si propone, ma è totalmente controproducente anche quando noi condividiamo quegli obiettivi" spiega Scurati. "Da diversi anni ormai assistiamo a una crociata nell'Occidente europeo e nord americano contro tutte quelle manifestazioni, talvolta altissime, della cultura tradizionale che per ovvie ragioni storiche era anche permeata da elementi maschilisti, a tratti imperialisti e misogini. Fino ai paradossi per cui in alcune università americane è diventato difficile, se non impossibile, insegnare capolavori del canone letterario perché gli autori che li hanno scritti erano maschi, bianchi. Oppure a quella censura a cui le grandi piattaforme broadcasting internazionali sottopongono qualsiasi progetto artistico che non sbandieri e dichiari in maniera dozzinale un programma di diversity and inclusion. Questo è la nuova ideologia oggi imperante in certi ambienti intellettuali del nuovo conformismo e perbenismo finto progressista" dice lo scrittore. E fa notare che "nessun progetto di liberazione può attuarsi attraverso l'oppressione". E il caso della Russia, secondo Scurati, manifesta "in modo parossistico, a volte ridicolo e grottesco, l'elemento oscurantista e di cecità ideologica che è insito in qualsiasi cancel culture. Il caso di Paolo Nori è plateale. E' addirittura ridicolo che si pensi di poterlo censurare perché tiene un corso su Dostoevskij, uno dei geni dell'umanità, dei giganti della letteratura che fra l'altro ha avuto una vita segnata dalla persecuzione in quanto vittima del dispotismo. Questo purtroppo testimonia anche la decadenza burocratica delle università italiane che è un problema con cui tutti noi professori abbiamo a che fare". Scurati spiega anche "che è totalmente assurdo e controproducente pensare di mettere al bando la cultura russa che è una delle espressioni più altre della cultura europea. Se c'è un territorio nel quale la Russia è Europa questo è la sua cultura. Mentre per molti altri aspetti, per la sua storia politica, la Russia non appartiene per niente all'Europa e i fatti di questi giorni lo dimostrano. Buona parte della grande cultura russa è espressione di oppressi dagli stessi regimi, di voci dissidenti. In questi giorni mi è giunta una copia staffetta di Stalingrado, opera monumentale del grandissimo Vasilij Grossman che aveva creduto negli ideali comunisti dell'Unione Sovietica e che poi ha dovuto scontarli. Altro discorso sono gli esponenti della cultura russa che hanno forti legami personali con il regime putiniano. E' il caso di Gergiev che è uno dei più grandi direttori d'orchestra che però ha svolto anche questa funzione nella Russia di Putin. E' assurdo chiedere a lui di prendere posizione, è un comportamento puerile, ingenuo. Esprime una visione della politica di tipo moralistico che è una cosa sciocca ed è quello che accade anche nella valutazione complessiva della Russia di Putin, dei rapporti fra Europa e Russia, fra l'Ucraina e la Russia in questi giorni" dice Scurati.
    "Il regime russo attuale mi sembra abbia compiuto un passo verso l'inammissibile e l'irreversibile dal punto di vista del mondo libero e democratico" sottolinea lo scrittore, contento che arrivi a Roma, dal 4 marzo al Teatro Argentina, lo spettacolo teatrale di Massimo Popolizio da M che ha avuto grande successo a Milano "con quasi 20 mila spettatori e code fuori", conclude. 
   

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