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Shoah, l'Università di Padova 'ritrova' la tesi di laurea Giorgio Arany

Dopo 79 anni recuperata negli Archivi; morì ad Auschwitz

Redazione Ansa

PADOVA - Il 29 giugno 1942, 79 anni fa esatti, un ragazzo di nome Giorgio Arany otteneva la sua laurea in ingegneria industriale elettrotecnica all'Università di Padova. Un fatto tutt'altro che scontato in quel luogo e in quell'epoca: Giorgio, infatti, nato in Ungheria, era ebreo e in un primo tempo era stato espulso dall'università a seguito delle leggi razziali del 1938. Per quasi 80 anni si è creduto che la carriera di Giorgio fosse finita lì: oggi invece sappiamo che con la sua forza di volontà e la sua insistenza riuscì a farsi riammettere all'università e a completare gli studi, tra difficoltà e discriminazioni. I pochi studenti ebrei rimasti erano infatti tenuti in disparte ed esaminati separatamente dai loro colleghi "ariani", esclusi da studentati e mense e con difficoltà nell'accesso a biblioteche e aule.

La scoperta, che getta una luce importante sull'applicazione della legislazione razzista nelle scuole e università italiane, è stata fatta dai giovani neolaureati Luca Marinello e Silvia Michelotto durante il periodo di servizio civile nazionale nell'ateneo e viene pubblicata oggi su Il Bo Live, il giornale online dell'università di Padova. Nell'articolo Luca e Silvia, coordinati dalla storica Giulia Simone, illustrano il ritrovamento nell'archivio generale dell'Ateneo - con oltre 25 chilometri lineari di scaffali uno dei più completi e importanti in Italia - del fascicolo completo di Giorgio Arany, che ci dà molte informazioni in più sulla sua vita durante e dopo gli studi universitari.

Tra i documenti ritrovati ci sono anche le sue lettere, che ci fanno conoscere il suo carattere e la difficile situazione in cui era costretto a vivere: oggi infatti sappiamo che dopo la laurea riuscì anche a trovare lavoro in un'importante azienda elettrotecnica di Belluno. Nel 1944 Giorgio sarà arrestato dai tedeschi a Trieste, dove probabilmente aveva raggiunto la madre che qui viveva con il secondo marito italiano. Sia madre che figlio in tempi diversi finiranno deportati ad Auschwitz, dove troveranno la morte in data ignota.

Giorgio aveva appena 25 anni, e oggi tutto quello che rimane fisicamente di lui è nel suo fascicolo custodito nell'archivio dell'università, oltre al suo nome su una delle sei "pietre d'inciampo" (stolpersteine) davanti al portone principale di Palazzo Bo, le prime ad essere poste nel 2018 di fronte a un ateneo. "Spesso si pensa al documento come mera burocrazia: in realtà si tratta di tracce di una vita - sottolinea Silvia Michelotto in un servizio video de Il Bo Live che accompagna l'articolo e spiega con interviste ai vari protagonisti le modalità e il significato dell'importante ritrovamento -. Studiando la sua vita Giorgio è quasi diventato il nostro eroe, a un certo punto non riuscivamo a capire quale fosse la differenza fra noi e questo ragazzo vissuto ottant'anni fa".

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