(ANSA) - ROMA, 15 APR - SALVATE DAI PESCI. RACCONTI DELLE
DETENUTE DI REBIBBIA, A CURA DI MAURO CORSO (CASTELVECCHI, PP.
114, EURO 15) Bisogna avvicinarsi a 'Salvate dai pesci' in punta
di piedi, come si fa con le cose delicate, con quelle che
sussurrano e bisogna tendere l'orecchio per ascoltarle. Perché
ricevere le confidenze, a volte dolorose, di chi si trova
ristretto nella propria libertà è un dono. E va trattato come
tale.
'Salvate dai pesci' è composto dai pensieri di tante donne
detenute nella sezione femminile del carcere di Rebibbia che
hanno partecipato a un laboratorio dell'Associazione Ri-Scatti.
Alla fine del libro i loro nomi suonano familiari, così come le
loro paure, le speranze, i sogni a occhi aperti perché la vita
nel carcere è lenta e le ore si dilatano. Ma c'è anche la
consapevolezza di aver commesso errori.
È qui, quando si danno delle colpe, che Floriselda, Maria,
Alessandra, Simona, Giovanna tornano bambine e chiedono scusa ai
loro genitori. E poi ai figli, a cui sono legate in modo
straziante. Alcune di loro sanno che non li rivedranno più e
augurano loro di crescere nella giustizia, amati, eppure cullano
il pensiero di incontrarli, magari prima di morire. Solo per
sapere che stanno bene, per dire ancora una volta loro che
nemmeno per un minuto hanno smesso di pensarli. Come Regina, che
non riesce nemmeno a dirla questa mancanza e quindi decide di
tormentarsi le mani. Come Alessandra, che parla alla mamma:
"Molte volte non ho saputo essere all'altezza delle cose che mi
avevi insegnato. Avevo altro da fare, soprattutto farmi del
male"
Il sole, il mare, il cielo, i colori, la natura sono le cose
che in questi orizzonti ristretti mancano di più. E le finestre
che, in una ipotetica casa dei sogni, dovranno esser tantissime.
Sembrano cose materiali, ma lì, nelle celle, sono bisogni. E poi
c'è soprattutto la speranza, perché bisogna pur sperare e non
sprofondare nell'angoscia e nella depressione. Tutti i bisogni,
dietro le sbarre, vengono amplificati. I messaggi, il cibo, le
chiacchiere, i laboratori. Tutto. Perché il carcere, racconta
Maida, è un piccolo mondo in miniatura: piccolo in senso
materiale, immenso emotivamente.
"Non voglio una casa, magari per un mese. Non vorrei più
avere guai", dice una di loro. Dentro il libro c'è tanta poesia,
come quella bellissima, inconsapevole di Floriselda: "Vorrei
dare un urlo di eterno paradiso". (ANSA).
Le detenute di Rebibbia si raccontano in 'Salvate dai pesci'
I loro pensieri, le speranze, il dolore raccolti da Ri-Scatti