Cultura

Tandoy, le ombre sulla morte per mafia del poliziotto

La prima inchiesta cercò di avvalorare la pista passionale

Redazione Ansa

(ANSA) - PALERMO, 20 MAR - SERGIO BUONADONNA E MASSIMO NOVELLI, L'IMBROGLIO (NAVARRA EDITORE, 235 PAGINE, 18 EURO). Un delitto di mafia che affonda la sua matrice nella politica collusa. Questo fu il caso del commissario di polizia Aldo Tandoy, ucciso il 30 marzo 1960 lungo il viale della Vittoria ad Agrigento. L'agguato provocò anche la morte di Ninni Damanti, uno studente di vent'anni colpito da un proiettile vagante: era nel posto sbagliato nel momento sbagliato.
    La lunga inchiesta addensò più che diradare tutte le ombre di una storia scomoda che metteva in imbarazzo il sistema di potere di quel tempo. E per questo si tentò di far passare un delitto di mafia con mille intrecci come un omicidio a sfondo passionale maturato nei salotti bene della città. Un colossale "Imbroglio".
    E questo è anche il titolo di un libro di Sergio Buonadonna e Massimo Novelli nel quale il caso Tandoy viene posto in relazione anche con le storie misteriose e oscure di due giornalisti che se ne occuparono a lungo: Mauro De Mauro e Ezio Calaciura. De Mauro, che scriveva per L'Ora e venne sentito dalla corte d'assise, fu rapito la sera del 16 settembre 1970.
    Calaciura, che di Tandoy scrisse prima per L'Ora e poi per La Sicilia, morì nel marzo 1973 in un misterioso incidente stradale in Calabria. La vedova Maria ha sempre cercato di squarciare il velo sostenendo che quel giovane cronista non andò per caso incontro alla morte. Nessuna indagine ha mai illuminato il contesto dello schianto. Non si trovarono più le carte di Calaciura sul caso Tandoy e non si capisce l'interesse di due persone che offrirono soldi alla famiglia per avere le ferraglie dell'auto del giornalista. Nei primi due anni l'inchiesta ha tenuto in piedi la pista passionale. Il professor Mario La Loggia e Leila Motta, vedova di Tandoy, furono arrestati come mandanti e "amanti diabolici".
    Ma era un depistaggio. Serviva a colpire le ambizioni politiche dei La Loggia, esponenti di spicco della Dc siciliana. E quella fu, sostengono gli autori del libro, anche una delle prime trattative Stato-mafia. Gli assassini temevano che Tandoy, intanto trasferito a Roma, potesse rivelare quello che aveva taciuto sulla guerra di mafia con epicentro a Raffadali legata a una faida interna alla Dc. Il commissario aveva preparato un dossier che voleva portare con sé ma venne fatto sparire in questura. Il processo si concluse solo nel 1975. Santo Librici e Vincenzo Di Carlo furono condannati all'ergastolo come mandanti, Giovanni Baeri a 30 anni come esecutore. Ma i depistaggi organizzati non consentirono di allargare lo sguardo oltre il livello criminale. (ANSA).
   

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