(ANSA) - LONDRA, 24 SET - L'autrice italiana di best seller
più nota sulla scena internazionale, anglosassone in primis, e
la stella assoluta della performance art a livello mondiale: due
interpreti del processo creativo - fra letteratura e arte
concettuale - che si specchiano e riflettono su temi intimi e
quotidiani e non solo, dalla solitudine al rapporto col
pubblico, dal ruolo della donna nella società, al dilemma del
successo e della carriera. Sono alcuni dei temi toccati nel
lungo dialogo, per qualche verso inatteso, intrattenuto in tempi
recenti via email da Elena Ferrante con Marina Abramović,
celeberrima artista serba trapiantata negli Usa.
Un carteggio pubblicato ora dal supplemento culturale del
Financial Times britannico tra due figure, differenti eppure
all'apparenza complementari, che non nascondono la reciproca
stima; ma neppure le profonde e più evidenti distanze
nell'espressione artistica o caratteriale, rivelata persino
nello stile delle mail: a tratti sferzante nel caso
dell'imprevedibile artista belgradese, più piano in quello della
scrittrice napoletana.
"Per piu' di 30 anni ho deciso di apparire solo attraverso la
mia scrittura perché i libri devono essere autosufficienti - le
parole di Ferrante -. Tu, per 50 anni, hai messo il tuo corpo,
la tua persona, coraggiosamente al centro della scena". Una
scelta - le risponde Marina - giustificata dalla convinzione che
"il pubblico ha un ruolo molto maggiore rispetto a quello di
essere mero spettatore. E io ho bisogno della sua energia".
Nello scambio epistolare le due donne si scoprono del resto
accumunate da un'adolescenza scomoda, punteggiata di momenti di
vergogna e d'insicurezze, che pare aver condizionato e
indirizzato la loro stessa arte. "Mi sentivo come un nodo
aggrovigliato, impresentabile - ricorda Elena -. Il voler
scrivere mi sembrava un motto di orgoglio, come se volessi
racchiudere l'intero mondo in me stessa. Così mi sono abituata a
condurre la mia vita da persona timida, mantenendola
radicalmente separata dal momento in cui scrivo e il mio corpo
si lascia andare".
Un'esperienza analoga, nella diversità, a quella vissuta da
Abramović: "La mia adolescenza è stata disperatamente complicata
e infelice. Tutto è cambiato quando ho trovato il medium delle
performance artistiche per esprimere me stessa. E' stata una
trasformazione immediata, che mi ha portata ad abbandonare dubbi
e sfiducia facendomi sentire bella, radiosa e potente".
Se Ferrante stigmatizza poi un mondo ancora maschio-centrico,
in cui "i canoni estetici sono stati imposti dagli uomini",
Abramović - che si autodefinisce una "servitrice della società",
perché "il dono della creatività non ti appartiene ma va
condiviso" - preferisce incalzare le donne, incoraggiandole a
ribellarsi: "E' anche colpa nostra se abbiamo dato tanto potere
agli uomini, siamo noi che ci creiamo così tante infrastrutture
e solo noi possiamo cambiarle", controbatte gagliarda.
Indicando la strada primaria della autocoscienza per porre
fine a quella che la scrittrice italiana definisce "la più
grande, duratura e stupida perdita mai vista sulla terra: la
dissipazione dell'intelligenza e creatività femminile". (ANSA).
'Cara Marina, cara Elena', regine dell'arte si scrivono
Donne, vita e cultura: ecco il carteggio mail Ferrante-Abramovic