Cultura

Umberto Broccoli, racconto 50 anni di Italia in musica

Esce Questa è la storia, viaggio nel '900 attraverso le canzoni

La copertina del libro di Umberto Broccoli 'Questa è la storia'

Redazione Ansa

UMBERTO BROCCOLI, "QUESTA E' LA STORIA' (BOMPIANI, PP.528, 40 EURO - A cura di Patrizia Cavalieri)

"Basta con il facile, basta con gli slogan. Torniamo al semplice, per cercare di comprendere i fenomeni e la loro genesi e poi comunicarli". Non è tanto una protesta, quanto un augurio per il futuro, sempre pensando ai giovani, quello che affida in un'intervista all'ANSA Umberto Broccoli, da sempre abituato a indossare con naturalezza la doppia veste di archeologo e di comunicatore. Anche nell'ultimo libro, "Questa è la storia" (Bompiani, pp.528, 40 euro. A cura di Patrizia Cavalieri), lo sguardo è ancora una volta rivolto ai ragazzi, per raccontare, in un appassionante viaggio tra musica e parole, 50 anni di Italia, dal '38 all'88, attraverso le canzoni. "Questo è un libro di storia, non di musica. Ma le canzoni rispecchiano sempre il Paese e oggi c'è un'altissima percentuale di giovani che riascoltano le canzoni del '900, da Battisti ai Beatles", sottolinea, "ecco perché forse può servire spiegare loro il contesto in cui sono nate, perché è su quel germe, su quei ragazzi che bisogna lavorare". "Viviamo anni spezzettati, confusi, caotici e il nostro è un Paese allo sbando, che non ha continuità", osserva l'autore, "questo si rispecchia anche nella musica odierna, così frammentaria, come il rap per esempio. Prima, dagli anni '50 agli anni '80, le canzoni avevano una linea armonica e melodica, ora non più".

Il libro raccoglie in parte l'esperienza iniziata nel 2012 sulle pagine del Corriere della Sera e di Sette (nata dalla "folgorazione" di Ferruccio de Bortoli e Pier Luigi Vercesi, all'epoca direttori delle due testate) in cui Broccoli, che era sovrintendente per i beni culturali di Roma Capitale, ha raccontato per cinque anni con il suo personalissimo "metodo" l'Italia utilizzando appunto le canzoni: il risultato è davvero un tuffo nella memoria collettiva, in quella privata del lettore e al tempo stesso nei nodi principali della storia nazionale. Da Grazie dei fiori a Volare, da Una rotonda sul mare a Dio è morto, e poi I giardini di marzo, Impressioni di settembre, Generale, Le ragazze dell'Est, Maledetta primavera, I dubbi dell'amore: impossibile citare tutte le canzoni presenti nel volume che, accanto a una selezione di fotografie emblematiche, accompagnano il racconto di personaggi, eventi politici e sociali accaduti nel '900 italiano. "La storia, come diceva Le Goff, non si fa solo con i documenti d'archivio, ma con tutto il resto, la vita quotidiana, le cose immateriali, e anche con le canzoni, che sono una madeleine proustiana: anche se magari il ricordo diretto non c'è, la canzone ti trasporta in quel periodo", dice. E lei a quale canzone è più legato? "Ce ne sono due: una è Se telefonando di Mina del '66, un brano dal testo rivoluzionario. Per la prima volta infatti una donna, dopo una storia di sesso, decide di mandare via l'uomo. E' l'anticamera del '68", racconta, "la seconda è invece E ti vengo a cercare di Battiato del 1988: è un brano dedicato a Dio, non a una donna. Battiato ci aveva suggerito che forse verso la fine del millennio avremmo dovuto ritornare al pensiero, al trascendente. Purtroppo non lo abbiamo ascoltato e ora, dopo la sbornia del sensazionalismo, tutto è effimero, più è inutile e più sembra vero".

Da sempre lei si impegna per spiegare in modo accattivante la storia e i grandi temi al grande pubblico, eppure c'è ancora chi, magari tra gli intellettuali, vede questo modo di comunicare con sospetto. "Io non sono un intellettuale, ma un artista, perché lavoro sull'istinto. Non ho mai smesso di fare il mio lavoro, che è lo stesso sia in tv sia all'università: la verità è che non esiste un linguaggio accademico e uno divulgativo, ma solo uno buono o uno cattivo. Se non ti fai capire, se usi paroloni e non li spieghi, vuol dire che non hai contenuti", afferma Broccoli. "Our essendo nato in accademia, non mi è mai interessato cosa pensassero gli accademici. Gli intellettuali hanno sempre combattuto battaglie di retroguardia. Lo specialismo è ciò che ha ammazzato la cultura".

   

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