Cultura

Biografia di Arafat sovrano senza Stato

"Dopo Moro, anche Mitterand volle fare il suo Lodo"

Redazione Ansa

ARAFAT, IL SOVRANO SENZA STATO - CASTELVECCHI EDITORE- 233 PP., EURO 17,5. Il Lodo Moro, l'accordo tra l'Italia e la Resistenza palestinese stabilito nei primi anni '70, fu un modello per una analoga iniziativa presa da Francois Mitterand quando divenne presidente della Repubblica francese. Lo rivela l'ex consigliere dell'Eliseo, giornalista e studioso, Frederic Laurant, all'autrice del libro biografico "Arafat, Il Sovrano senza Stato" che oggi l'editore Castelvecchi manda nelle librerie italiane. Il lavoro di Stefania Limiti, giornalista e scrittrice, ripercorre la vita dell'ingegnere di al-Fatah letta alla luce di "un primo e un dopo Oslo", i famosi accordi del '93 con Israele che tanto avevano promesso e poco hanno mantenuto.
    L'uomo dallo "sguardo arcigno, grandi orecchie, naso grosso, labbro inferiore enorme, carattere pessimo, irascibile, temperamento esplosivo" si impose tra i leader del '900 mondiale portando nell'agenda internazionale la questione palestinese, cioè la rivendicazione nazionale di un popolo rimasto senza terra e tutt'ora al centro di una occupazione che sembra destinata a non finire mai. Nato al Cairo nel 1929 da genitori palestinesi, precisamente il 24 agosto, la sua "sicura ascendenza non ha impedito che venisse alimentato il mito che lo vuole nato in una data approssimativa nella magica città di Gerusalemme, così i suoi natali sarebbero stati un rassicurante marchio di garanzia. Un vezzo forse comprensibile per i suoi simpatizzanti, più antipatico per i suoi detrattori, ma di certo un peccato veniale. E comunque lì inciampa anche Oriana Fallaci che lo dà per certo: Indiscrezioni ormai diffuse ti confermeranno che nacque a Gerusalemme".
    Uomo e leader politico controverso, accattivante con i suoi interlocutori, di sicuro "amava piacere", cercava sempre di lasciarsi una strada aperta, tanto che girava anche una storiella spiritosa tra i suoi colleghi: "in pellegrinaggio alla Mecca, Arafat si reca nella valle di Mina per il lancio rituale di sette pietre contro l'immagine del diavolo, ma lui non le lancia tutte. Quando gli chiedono il perché, risponde: Non dobbiamo chiudere la porta in faccia a nessuno". Gestì l'Olp, l'Organizzazione per la liberazione della Palestina, come un padre di famiglia autoritario e non riuscì a lasciare i metodi di capo di un movimento guerrigliero neanche quando si trovò tra le mani una piccola entità statuale che non divenne mai Stato, boicottata dal terrorismo di Hamas e dalla espansione delle colonie israeliane. Pragmatico fino al midollo, si muoveva come un rabdomante alla ricerca di spazi di mediazione, fiutava il pericolo come un lupo inseguito, era ispirato solo dall'idea nasseriana della patria e dalla quasi ossessione dell'unità, che lo portò a non estromettere mai i suoi nemici interni. Anche quando i miliziani di Hamas gli contendevano il controllo dell'Autorità palestinese cercò di riportare l'ordine accettando la collaborazione con un team europeo di 007 che provò a riportare l'ordine senza azioni repressive nei confronti della popolazione: una inedita vicenda raccontata nel libro grazie alla confidenza di un ex agende del Sismi tra i protagonisti dell'esperimento fatto poi saltare dalle strategie opposte scelte da Tony Blair. (ANSA).
   

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