Cultura

Mafia in Val d'Aosta in "Non è stagione" di Manzini

In libreria il nuovo caso del vicequestore Schiavone

Redazione Ansa

di Enrico Marcoz

 

E' sempre irascibile, manesco, sarcastico, cinico, disilluso e autodistruttivo Rocco Schiavone, vicequestore sui generis, in servizio ad Aosta ma figlio della Trastevere violenta degli anni '70. Il personaggio dei noir di azione firmati da Antonio Manzini torna in pista con una nuova storia, raccontata in 'Non è stagione' (Sellerio, 351 pag).


    Dopo aver risolto i casi del cadavere nelle piste di Champoluc ('Pista nera', 2013) e di una donna impiccata in casa nel capoluogo valdostano ('La costola di Adamo', 2014), questa volta Schiavone si trova a fronteggiare la 'ndrangheta. Ma è soprattutto il suo passato a riaffiorare e a riaprire vecchie ferite. Spiega l'autore: "Incappa in qualcosa più grande di lui, scopre delle infiltrazioni della criminalità organizzata ad Aosta e le combatte". Però, "anche quando un'indagine che lo accora gli fa sentire il palpito di una vita salvata, da quel fondo mai scandagliato c'è uno spettro che spunta a ricordargli che a Rocco Schiavone la vita non può sorridere", si legge in copertina.


    Il terzo romanzo della serie creata da Antonio Manzini e ambientata ai piedi delle Alpi è il "vivido ritratto di un uomo prigioniero del destino, un personaggio tragico, complesso e consapevole". Rispetto all'ispettore Coliandro di Lucarelli o all'ancora più celebre Montalbano di Camilleri, Rocco Schiavone è un campione del 'politicamente scorretto'. "E' un poliziotto particolare - spiega Manzini - che ha un aspetto oscuro: le sue amicizie a Roma sono nel mondo della criminalità, lui arriva dalla strada e ne conosce le dinamiche, ha un approccio con la legalità molto particolare, anzi spesso la travalica".


    La narrazione parte dalla scomparsa di una giovane studentessa, rampolla di una famiglia importante, che nasconde un segreto. Sarà l'intuito di Schiavone a far virare le indagini verso un'area grigia dove affari e racket si mescolano nella miglior tradizione mafiosa. E' maggio, nevica in città, e l'umore del vicequestore è sotto i tacchi. "Era abituato a Roma, è stato mandato ad Aosta per punizione (per aver pestato il figlio di un politico con il vizietto di violentare le coetanee), è un ramingo, un esiliato - osserva Manzini - che per il suo carattere spigoloso si meritava un posto lontano e remoto. Ma dopo un primo impatto negativo, ora la città inizia a piacergli". E la storia non finisce qui.
   

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