Cultura

Fox, alcolismo e abuso farmaci dopo diagnosi Parkinson

A Sundance poi su Apple Tv+ docu 'Still: a Michael J. Fox Movie

Redazione Ansa

Un bambino e un adulto irrefrenabile, "non riuscivo a stare fermo, ne' a essere presente in ciò che mi succedeva. Finché non è arrivato 'questo' che mi ha costretto a essere presente in ogni momento della mia vita". Il 'questo' da affrontare è il morbo di Parkinson: una battaglia quotidiana di cui Michael J. Fox, parla con humour, positività, verità e senza filtri nel documentario sulla sua vita firmato dal premio Oscar Davis Guggenheim, Still: a Michael J. Fox Movie al debutto al Sundance Film Festival e prossimamente su Apple Tv+. Un'ora e mezza nella quale si uniscono il racconto in prima persona di Fox, intervistato dal regista (che aveva vinto l'Academy Award nel 2007 per il documentario Una scomoda verità), ricostruzioni, immagini d'archivio, scene di serie e film, squarci di vita quotidiana dell'attore con moglie e figli. Il capitolo più intenso e difficile è quello sul periodo seguito alla diagnosi del morbo di Parkinson, arrivata a 29 anni ("Il mio mondo è esploso"), dopo aver notato tra piccoli segni sempre trascurati il mignolo della mano che continuava a tremare. Mesi nei quali Fox, già bevitore, è diventato un alcolista: "bevevo per dissociarmi, avevo bottiglie nascoste nel garage - ricorda -. Ero cupo e arrabbiato. Al cuore di quel comportamento c'era la paura". Poi un giorno "mia moglie (l'attrice Tracy Pollan, conosciuta sul set del primo grande successo di Fox, la serie 'Casa Keaton") mi ha trovato sul pavimento, e mi ha chiesto 'E' veramente questo quello che vuoi essere?... non bevo più da 30 anni". Un altro problema dopo la diagnosi, soprattutto mentre lavorava, è stato per i primi anni l'abuso, con compresse mandate giù come caramelle, di un farmaco che attenua i sintomi del Parkinson: "non lo prendevo ne' come terapia ne' per avere un po di comfort... ma per nascondermi". Poi "ho capito che dovevo essere solo me stesso - sottolinea -. Se hai pietà per me non mi riguarda, non sono patetico, mi sta succedendo qualcosa". Il documentario (che già si candida alla corsa all'Oscar 2024) racconta con lo stesso stile vitale e profondo anche il periodo pre-Parkinson di Fox: l'adolescenza in cui è stato bullizzato, il talento per la recitazione, l'arrivo dal Canada a Hollywood a 19 anni dopo aver abbandonato il liceo, la dura gavetta dei primi anni ("andavo avanti a nichelini") il primo enorme successo a 22enne con la serie Casa Keaton, e l'approdo alla fama globale con i film come Ritorno al futuro ("ero il principino di Hollywood"). Una delle parti più coinvolgenti è quella che mostra l'attore impegnato nella battaglia quotidiana, portata avanti con coraggio e positività, spesso con a fianco il suo fisioterapista/motivatore, per cercare di placare quei movimenti incontrollati, che gli causano anche cadute rovinose (con fratture annesse, come capita durante le riprese del film). Un impegno che si aggiunge a quello benefico: con la fondazione Michael J. Fox, che ha raccolto per la ricerca sul Parkinson circa 2 miliardi di dollari. "Molti giudicano il Parkinson una fine, io invece lo vivo come un inizio e voglio essere nel mondo per mostrare quello che ancora ho".

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