Cultura

The Fabelmans, la malinconia nei ricordi di Spielberg

Alla Festa di Roma il film amarcord del maestro del cinema

Redazione Ansa

Tante lacrime e commozione dopo le risate in sala per THE FABELMANS, film amarcord di Steven Spielberg, presentato in anteprima italiana alla Festa di Roma e Alice nella città, dal 22 dicembre con 01 Distribution. La proiezione ha colpito nel segno: emozionare. A pesare di più sulle emozioni è stata la malinconia del racconto: Spielberg parlando della sua famiglia evocava in fondo delle ombre, delle persone care scomparse. Una consapevolezza questa che ha colto un po' tutti gli spettatori e di cui ha parlato stranamente alla Festa di Roma anche James Gray presentando il suo più che autobiografico ARMAGGEDON TIME con la storia dei suoi genitori: "Ho capito davvero quello che avevo fatto in questo film quando mi sono ritrovato in sala di montaggio. Sentivo una grande malinconia, la mia era diventata una storia di fantasmi". Incipit straordinario per THE FABELMANS, già al Festival di Toronto, con un piccolo Spielberg, nel film si chiama Sammy, che sta per essere iniziato alla sala cinematografica da un dolcissimo padre (Paul Dano) e da una dinamica madre (Michelle Williams). Per convincerlo a entrare nel buio della sala per assistere al suo primo film il padre, che è un proto informatico, dà fondo a tutte le sue nozioni di fisica, ma ne vale la pena. Sammy infatti, di fronte a una dinamica scena dello scontro tra un treno con un auto, è segnato per sempre. Vuole rappresentarla mille e mille volte. E lo fa con la prima macchina da presa e il suo trenino. Tra bullismo subito a scuola, anche per le sue origini ebree, Sammy cresce (da ragazzo è Gabrielle LaBelle) con una telecamera in mano. Una telecamera che gli farà vedere bene anche una particolare amicizia della madre per un amico di famiglia e che lo difende poi dai soprusi dei suoi amici palestrati. E ancora per il ragazzo, una storia d'amore con un'integralista cattolica che lo vede come un Gesù ("anche lui era ebreo' gli dice) e poi la sua voglia di cinema, quello di serie A. E, nel finale, l'incontro con il metafisico John Ford, inarrivabile e avvolto dal fumo del suo sigaro. Da lui una sola lezione: "Quello che conta - dice - è solo dove è posto l'orizzonte in una scena. Se è al centro è da buttare. Buono invece l'orizzonte in alto e in basso". Un po' poco, ma abbastanza per Spielberg. Il resto lo imparerà da solo.

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