Cultura

Landis, il cinema è un'arte ancora molto nuova

'Belushi incredibile.In Blues Brothers ha controllato dipendenze

Redazione Ansa

Le cosa che ci si dimentica "è quanto sia ancora nuova l'arte del cinema, il suo sviluppo è recentissimo, rispetto ad altre come la pittura o la scultura".     Ci colpisce quanto la settima arte "sia cambiata velocemente, e guardando ai film muti è incredibile il mondo nel quale geni come Griffith nei abbiano creato il linguaggio. Secondo me nel 1916 i film avevano già lo stesso valore di quelli di oggi".   
Parola di John Landis, tornato fra gli ospiti dell'edizione 2022 delle Giornate del Cinema Muto di Pordenone insieme alla moglie costumista, Deborah Nadoolman Landis, direttrice del David C.     Copley Center for Costume Design dell'Ucla, che inaugura al festival una serie annuale di conferenze dedicate al tema dei costumi nel cinema muto, con l'incontro 'Vestire Norma: la moda nel cinema delle origini'. Il cineasta, intervenuto solo alla fine della conferenza stampa della moglie, moderata dal direttore delle 'Giornate del cinema muto, Jay Weissberg, spiega quanto sia stato importante per lui conoscere e frequentare i pionieri del cinema: "Ho iniziato a lavorare nel cinema negli anni '60, Deborah negli anni 70, quando molti di loro, come Hal Roach o King Vidor erano ancora vivi ed erano a Los Angeles. Sono andato a cercarli e mi sono fatto raccontare come lavorassero". Il regista, rispondendo a una domanda su come sia riuscito a controllare sul set uno dei protagonisti più amati del suo cinema, John Belushi, spiega che "John era un persona straordinaria, non va identificato con i suoi personaggi". Landis accenna anche ai problemi dell'attore: "Quando abbiamo realizzato Animal House era libero delle dipendenze, ma sfortunatamente quando abbiamo girato insieme The Blues Brothers, era tossicodipendente dalla cocaina, e ciò porta a bere e ad altre conseguenze. Chiunque conosca le dipendenze sa che l'unico capace di controllarle è la persona stessa, non si può intervenire dall'esterno". John "era una persona di grande talento, amabile e dolce, adoravo lavorare con lui. Una grande tragedia (della sua vicenda) è che non abbiamo avuto l'occasione di vedere tutto ciò che sarebbe stato capace di realizzare". Tornando al rapporto fra costumi e cinema, "tutto quello che si indossa davanti a una cinepresa diventa un costume - spiega il regista -. Io sono stato molto fortunato ad avere Deborah con me come costumista in quasi tutti i miei film. Le dicevo di occuparsi anche delle comparse perché anche i loro colori, le cose che indossano, contano". Un'attenzione ai dettagli che c'è stata da subito nella settima arte: "Già i pionieri del cinema avevano sul set dei reparti costumi". Deborah Nadoolman Landis, candidata all'Oscar nel 1989 per i costumi di Il principe cerca moglie, durante lo studio e l'apprendistato per la sua professione, ha compreso "l'importanza dei costumi nella costruzione di un film ma anche di come questo contributo venga sottovalutato. E' un legame che non si ferma al vestire ma è parte nel 'costruire' le persone del film, la loro personalità".    
Per lei l'Italia è la casa dei più grandi costumisti, ed ammira in particolare Piero Tosi: "Diceva spesso che la storia può essere migliorata. Così ad esempio ne Il Gattopardo, non vedi solo agli abiti ottocenteschi ma anche ciò che aggiungeva lui". Infine una battuta dal regista sul rapporto con una moglie costumista: "Una volta Hitchcock mi disse che indossava sempre sul set una cravatta come gesto di rispetto verso il cinema, Così l'ho fatto anch'io. Ma la mattina sapevo sarebbe arrivata da Deborah la stessa domanda - aggiunge sorridendo -.     'Veramente? Proprio quella cravatta?'.

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