Cultura

'Asia', l'amore madre - figlia oltre la malattia

Shira Haas (Unorthodox) in film candidato israeliano a Oscar

Redazione Ansa

Il 2020 lo ricorderemo tutti come l'anno della pandemia, ma per la talentuosa Shira Haas ha rappresentato anche l'inizio di un periodo di continui trionfi professionali. Prima con Unorthodox, la miniserie Netflix che le ha fatto conquistare vari riconoscimenti compresa una nomination agli Emmy e che probabilmente la porterà in gara anche ai Golden Globes. Ora con Asia, l'opera prima della regista Ruthy Pribar, che dopo aver vinto tre premi (tra cui quello come miglior attrice per Shira Haas) al Tribeca Film Festival, è stata scelta per rappresentare Israele nella corsa all'Oscar per il miglior film internazionale.

"E' stato proprio un anno normale, come tutti gli altri - ha scherzato l'attrice 25 enne nell'incontro streaming sul film organizzato da The Wrap -. In qualche modo lo sto ancora metabolizzando. Tuttavia dover restare nel mio 'luogo sicuro', a casa mia, mi ha anche permesso di non finire travolta da tutto ciò che mi sta succedendo e mi fa sentire veramente grata". 'Asia', che ha anche conquistato nove Premi Ophir (i principali riconoscimenti cinematografici israeliani), tra i quali quello per la migliore attrice protagonista a Alena Yiv e miglior attrice non protagonista (Haas), mette in scena un legame madre - figlia che cresce e diventa tanto forte da diventare quasi simbiotico, nella peggiore delle circostanze. Protagonista Asia, infermiera e madre single che ha cresciuto in Israele come immigrata dalla Russia, la figlia Vika, 17enne che lotta contro una malattia neurodegenerativa (non viene nominata ma si può pensare alla Sla, ndr). Il loro rapporto inizialmente difficile e distaccato cambia radicalmente quando la malattia di Vika improvvisamente peggiora, proprio nel pieno del suo percorso per diventare adulta (aveva anche da poco deciso di perdere la verginità). Per Asia, che fatica a trovare un equilibrio, anche sentimentale, nella propria vita è il momento di crescere, e prendersi cura di quella figlia molto più matura di lei.

Il film, di grande intensità, nasce da un'esperienza personale vissuta dalla regista: "Quattordici anni fa ho perso mia sorella - spiega Ruthy Pribar, classe 1982 - è stato un trauma e un dolore enorme, con cui ancora mi confronto. Però mi sono resa conto che in quei mesi, non riuscivo ad essere realmente presente per mia sorella, mentre mia madre ha sacrificato tutto per aiutarla, in ogni maniera possibile, è stata con lei costantemente. Era la storia che volevo raccontare" anche se la vicenda di Asia e Vika "è molto lontana da quella vissuta nella mia famiglia".

Shira Haas ha finito la lettura del copione in lacrime "e non è una cosa così usuale, nella vita non mi capita di piangere tanto facilmente. Ogni parte del mio corpo mi diceva di fare il film. Consideravo un onore poter interpretare un personaggio così meraviglioso e complesso. Si parla di lutto, di perdita, ma nella storia ci sono anche una profonda sensibilità ed empatia". Una delle sfide principali per l'attrice è stata rendere fisicamente il peggiorare delle condizioni di Vika: "Ho letto moltissimo, ho visto documentari e con Ruthy abbiamo incontrato vari dottori e pazienti affetti da questo tipo di malattie - spiega -. Mi ha molto aiutato anche il fatto che il film sia stato girato in ordine cronologico". Anche Alena Yiv ha detto subito sì al progetto: "Mi hanno offerto il film poco dopo che era nata mia figlia. Inizialmente ho potuto leggere solo due scene, e mi ha colpito per quanto fossero contrastanti, l'una dall'altra. Ho capito che il mio personaggio affronta una sorta di trasformazione spirituale". L'alchimia che si vede tra le due attrici "ha preso forma attraverso le prove, passando molto tempo insieme, compresi vari pranzi e cene - spiega Shira Haas -. Tra noi e anche con Ruthy è nato subito un legame profondo che continua ancora oggi".

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