Cultura

La famiglia cinese secondo Lulu Wang

'The Farewell. Una bugia buona', in sala dal primo gennaio

Redazione Ansa

ROMA - La famiglia in Cina ha una marcia in più, specie se a raccontarla è Lulu Wang. Ma il secondo film della regista, 'The Farewell. Una bugia buona' (titolo provvisorio), passato alla Festa del Cinema di Roma e in sala con la Bim dal primo gennaio, ha anche altri meriti. Tra questi sicuramente quello di raccontare un Paese, come la Cina, dove stride sempre più il confronto tra tradizione e modernizzazione, mettere a confronto Oriente ed Occidente e affrontare, infine, anche il tema della morte e della malattia. Ma sempre con malinconica ironia, in commedia.

Protagonista del film e suo vero motore Billi (Awkwafina), ragazza molto smart in cerca di lavoro, nata in Cina e cresciuta negli Stati Uniti, esattamente a New York. Quando la sensibile Billi scopre che l'amata nonna, Nai-Nai (una grandissima Zhao Shuzhen), rimasta in Cina, ha solo poche settimane di vita, in cuor suo si dispera. In famiglia questa ferale notizia è nota ormai a tutti, ma di comune accordo si è deciso di tenere nascosta la verità alla diretta interessata per farle vivere serenamente i suoi ultimi giorni. Così, con l'espediente di un matrimonio da celebrare in fretta e furia, tutta la famiglia - chi dall'America, chi dal Giappone - si riunisce a casa di Nai-Nai, a Changchun. Una rimpatriata nel passato da parte di Billi in una città ormai a lei sconosciuta. Unica certezza, invece, la famiglia, con le sue pazzie, rituali ed affetti. Al centro di questa ovviamente c'è Nai-Nai, una vera e propria matriarca, una donna prepotente e dolce. Intorno alla sua ingombrante figura, che diventa il simbolo di una cultura incontaminata, si raccoglie tutta la famiglia a cui è comune il segreto della sua malattia. La domanda è: cosa è giusto, nasconderle la verità della sua imminente morte o comunicargliela?

A un certo punto lo zio di Billi, che vive in Giappone, dice la sua sulla differenza nella percezione della morte tra Oriente ed Occidente. "In Oriente - sottolinea - una persona è parte di un tutto e conta più questo della sua stessa individualità, così sta a noi prenderci il peso del dolore della sua scomparsa e non dire niente a lei". "Non mi riconosco in queste persone che hanno romanticismo verso la patria - dice la regista di questo film molto autobiografico che, tra l'altro, ha vinto il premio del pubblico al Sundance -. Ogni volta che torno in Cina, mi sento più americana che mai, quindi è questa la vera domanda: 'Beh, dov'è davvero casa?' Il fatto è che noi la cerchiamo sempre e non ci inseriamo mai completamente nei luoghi in cui ci ritroviamo".

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