Cultura

Lindon, troppa ricchezza nelle mani di pochi

Esce "In guerra". Regista Brizé "Per risvegliare le coscienze"

Redazione Ansa

ROMA - Non si poteva parlare che di politica al Nuovo Sacher dove è stato presentato 'In guerra' di Stephane Brizé, già in concorso a Cannes e ora in sala con Academy Two dal 15 novembre. A tre anni di distanza da La legge del mercato, il regista continua il sodalizio con Vincent Lindon per raccontare di una fabbrica, la Perrin, che sta per essere chiusa, nonostante sia in attivo, e dove monta forte la protesta dei suoi dipendenti, operai e colletti bianchi, capitanati dal sindacalista tutto di un pezzo Laurent Amédéo (Lindon).

"Il mondo oggi ha due macro problemi: la sovrappopolazione e la ripartizione delle ricchezze. Bisogna fare qualcosa, svegliarsi - dice a Roma Lindon - Non è possibile che l'uno per cento della popolazione mondiale possieda il 90% delle ricchezze". Mentre Brizé ribadisce più volte: "Con questo film volevo legittimare la collera degli operai. Oggi c'è una situazione particolare, non ci sono più personaggi carismatici in politica la quale ha affidato ormai tutto il potere alla borsa. E questo attraverso leggi, votate sia dalla destra che dalla sinistra, che di fatto hanno dato le chiavi del potere alla finanza. Oggi lo strapotere dei soldi è totale, certo non basta un film per fare la rivoluzione, ma questo è il mio modo di fare politica".

Da Lindon poi la sua originale scuola anti-Strasberg: "Non so neppure io come mi preparo per i ruoli che interpreto. Insomma non ho frequentato gli operai per fare Laurent, né seguito corsi aziendali, mi servo solo delle mie fantasie e poi pesco dalle mie esperienze di vita. E - aggiunge - trovo volgare dire come si lavora, bisogna solo fare le cose bene e stare zitti". Infine Brizé racconta l'ispirazione e il senso vero del suo film: "Tutto nasce dalla protesta che c'è stata all'Air France, con le immagini della collera e della violenza che hanno visto tutti sui tg. Che cosa poteva aver generato una tale rabbia? Il fatto è che era un'azienda con tanto di utili chiusa non certo per motivi di scarsa produttività. Volevo così far vedere quello che c'era dietro, che non si era visto in tv. Ma questo - sottolinea il regista - senza mai tradire i ragionamenti e i discorsi dell'una e dell'altra parte, né tantomeno ridicolizzare nessuno e questo perché gli spettatori potessero formulare la loro personale opinione".

Leggi l'articolo completo su ANSA.it