Cultura

Arevalo, racconto violenza cruda e reale

In sala La vendetta di un uomo tranquillo, vincitore di 4 Goya

Redazione Ansa

Sam Peckinpah, ma anche Matteo Garrone e il suo Gomorra, sono stati fra i punti di riferimento per Raul Arévalo, classe 1979, attore molto conosciuto in Spagna (lo hanno diretto, fra gli altri, De La Iglesia e Almodovar), per il suo esordio alla regia, La vendetta di un uomo tranquillo, thriller nelle sale italiane dal 30 marzo con Bim. Un'opera prima su una storia di violenza e vendetta ''che volevo risultasse reale, scarna e cruda'' spiega Arévalo oggi a Roma. Il risultato ha convinto pubblico e critica, tanto da vincere, fra gli altri, all'ultima Mostra del Cinema di Venezia, il premio per la migliore attrice (Ruth Diaz) nella sezione Orizzonti e quattro Goya (gli Oscar del cinema iberico): miglior film, miglior regista esordiente, miglior sceneggiatura originale e miglior attore non protagonista.

''Neanche nel più bello dei miei sogni avrei immaginato una tale accoglienza - spiega Arévalo oggi a Roma -. Recitare ed essere diretto da tanti autori è stata la mia scuola di regia''. Al centro della storia, che non va troppo rivelata, c'è José (Antonio de la Torre) quarantenne solitario che in una Madrid popolare, ha studiato un elaborato piano di vendetta contro chi gli ha distrutto la vita. Ne sono strumenti Ana (Ruth Diaz) e il suo compagno appena uscito di prigione, Curro (Luis Callejo). ''Era fondamentale che i personaggi avessero quest'età, volevo persone che hanno già vissuto una parte di vita - spiega il regista -. E' uno dei motivi per cui ci ho messo otto anni a trovare i fondi per il film, molti produttori con cui parlavo mi proponevano protagonisti più giovani e famosi''. Il protagonista è ''un uomo normale travolto da una spirale di violenza sempre più assoluta'' sottolinea. E per quanto Arévalo ami anche il cinema di Tarantino, ''il mio non è un 'Kill Bill', non c'è una rappresentazione 'estetica della violenza ma uno sguardo più essenziale legato alla vita quotidiana. Ho pensato ad autori come Peckinpah, Garrone, Audiard e i Dardenne''.

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Il neoregista, che aveva avuto il primo spunto per la storia da un commento ascoltato nel bar del padre, ha messo nel film (tra i coproduttori l'italiana Palomar) ''i luoghi e le strade in cui sono cresciuto. Credo si debba parlare di ciò che si conosce. Non ho mai vissuto un'esperienza come quella che racconto, ovviamente, ma era importante portarla sul mio terreno. E per tornare a Garrone, come lui amo mescolare attori professionisti e non. Credo nel cinema con una forte identità''. Il protagonista nutre una rabbia cieca ''e anche io ne ho molta - dice sorridendo Arévalo, che ha scritto la sceneggiatura con l'amico psicologo David Pulido -. Il film mi ha anche permesso di incanalarla. Credo che la violenza faccia parte dell'essere umano, per questo è il tema di tanti film. Può essere banale dirlo, ma penso funzioni da antidoto l'amore verso se stessi e gli altri''. Il film ha avuto ottime recensioni anche negli Usa dopo la presentazione a Toronto e sono arrivate proposte di remake: ''Mi fa un po' ridere l'idea di una versione americana, troverei più interessante lo rifacessero gli italiani o i sud americani''. E Arévalo non pensa a lavorare negli Usa: ''Non so neanche l'inglese... e non mi interessa il loro modo di fare film. Mi piacerebbe però realizzare una grande coproduzione europea''. Il regista sta scrivendo il secondo film, ma non si ferma il suo impegno come attore: sarà tra i protagonisti di 'Oro', film di Agustin Diaz Yanes da nove milioni di euro sui conquistadores e ha dato la voce al protagonista della commedia animata Memorias de un hombre en pijama di Carlos Fernández Vigo.

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