Cultura

Il Clan, un gangsterismo da famiglia

Nel film di Trapero un caso vero alla fine dittatura argentina

Redazione Ansa

Niente a che vedere con la famiglia mafiosa piena di regole a cui affidarsi, qui in Il clan, film argentino di Pablo Trapero già in corsa alla 72/ma edizione del Festival di Venezia dove ha vinto il Leone d'argento e in sala dal 25 agosto distribuito da 01, ci troviamo nell'orrore di una famiglia normale. In un nucleo familiare, padre e madre e quattro figli di cui due ragazze adolescenti, a cui non si nasconde troppo quello che accade come nel caso di rapire qualcuno e chiuderlo poi nella cantina urlante. Una cosa impossibile da capire senza conoscere quello che e' stata la dittatura in Argentina. Il film è infatti tratto dalla vera storia della famiglia Puccio e ambientato negli ultimi anni della dittatura militare argentina, poco prima del ritorno alla democrazia.

Siamo appunto agli inizi degli anni ottanta in una tipica villetta nel caratteristico quartiere di San Isidro. Qui dimora la famiglia di Arquimedes (Guillermo Francella), un clan che vive di rapimenti e omicidi. Il patriarca guida e pianifica le operazioni grazie alla copertura del regime uso a questo tipo di operazioni. Ma ora l'uomo si e' messo in proprio e ha coinvolto anche il figlio maggiore Alejandro (Peter Lanzani), una star del rugby che gioca con il Casi, prestigioso club locale, e con i Los Pumas, mitico team nazionale argentino. Quest'ultimo aiuta il padre anche individuando i possibili bersagli dei rapimenti, grazie alla sua popolarità che lo tiene lontano da ogni sospetto. Tutti i membri della famiglia sono, in misura diversa, complici di queste imprese poiché, fanno finta di non vedere (una pratica a cui ci si abitua nelle dittature), e beneficiano poi dei grossi riscatti pagati dalle famiglie delle loro vittime.

''Il cinema ha la capacita' di comunicare nel presente con lo spettatore anche se la storia fa riferimento al passato - aveva detto al Lido il regista di questo film campione di incassi in Argentina -. Quando faccio una pellicola voglio emozionare lo spettatore e non mi interessa più di tanto che oggi chi lo veda cerchi di capire cosa succedeva allora in Argentina, ma piuttosto che si senta sconvolto di quello che racconto. Quando e' scoppiato il caso della famiglia Puccio, che assassinava e sequestrava i vicini, io ero appena adolescente ma sono stato molto impressionato da questo fatto e il caso ha voluto che poi lo potessi raccontare davvero giusto nel trentennale della cattura della banda''. E concludeva Trapero: ''Credo che le vicende di Puccio siano un sintomo della dittatura e sono state possibili solo con la complicità della stessa. Ma Il Clan e' anche un film sull'ipocrisia quella che c'era allora in Argentina e c'e' ancora anche nel resto del mondo''.

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