Cultura

A Venezia la pena al tempo dei Dogi

Palazzo Zaguri riapre come sede museale privata

Redazione Ansa

Dalle pinze e tenaglie per le torture medioevali, di cui fecero le spese anche alcuni dogi agli albori della Serenissima, fino alla ghigliottina, con i resoconti da Parigi sugli ultimi giorni di Luigi XVI inviati agli organi della magistratura lagunare dal confidente Giovanni Povolari. E' un viaggio, lungo 36 stanze, alla scoperta della giustizia, del crimine e delle pene all'epoca della Repubblica di Venezia la mostra che inaugura, dal 31 marzo, il percorso del polo museale privato negli spazi di Palazzo Zaguri, vicino a Piazza San Marco.

Una decisione, quella della virata verso una attività culturale e di riscoperta della storia lagunare, che va in controtendenza rispetto ad edifici storici che sono diventati soprattutto alberghi. L'attuale proprietà è un fondo fiduciario veronese e ci sono voluti 5 milioni e oltre due anni di lavoro per il restauro di un palazzo gotico, venduto dal comune all'asta nel 2006 per 10,6 milioni di euro, che nei secoli fu casa patrizia ma anche sede scolastica nella seconda metà del secolo scorso.

L'esposizione, promossa da Venice Exhibition e aperta fino al 1 maggio, a detta dei curatori, "non vuole essere cruenta ma scientifica" - tanti i cartelli storico-illustrativi - e si dipana lungo quattro linee guida: carceri, giustizia con tortura, pena di morte ed inquisizione. All'appuntamento con la sezione "reclusione", nel sottotetto a dare ulteriore atmosfera, non poteva mancare Giacomo Casanova che, tra l'altro, a palazzo era di casa ospite di Pietro Antonio Zaguri. Accanto a un manichino ci sono le lettere che l'accusano di illeciti comportamenti.

Il percorso, tra le curiosità, presenta una "cheba" (gabbia) con tanto di copia di scheletro all'interno a richiamare la storia del prete accusato di aver bestemmiato in una osteria e condannato, tra le varie cose, ad essere rinchiuso per dieci giorni in una gabbia appesa al campanile di San Marco. Sul fronte tortura, le autorità veneziane ci andavano piano, ma comunque non deve essere stato simpatico subire il tiro della corda o avere i piedi a contatto con le braci ardenti. Tra documenti, strumenti di pena, armi, quadri con le magistrature lagunari, illustri inquisiti (nella stanza dell'adulterio c'è Lorenzo Da Ponte, il librettista di Mozart) o condannati a morte, l'immersione nei delitti e pene della Serenissima si chiude davanti a un ghigliottina con tanto di manichino decollato. A finire decapitato, e poi squarciato, a Venezia il 10 gennaio 1781 un certo Stefano Fantini, reo - a leggere la ricca nota - di aver ucciso assieme all'amante Veneranda Porta il marito della donna.

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