Cultura

'Made in Japan' e 'similgiappo', la vera storia è quella di Shiro

A Milano su 350 insegne nipponiche solo 20 quelle tradizionali

Lo chef di 'Shiro'

Redazione Ansa

Sushi, sashimi, tempura; yakitori, udon, soba; sakè, wasabi: quelli che fino a pochi anni fa erano termini sconosciuti e incomprensibili, negli ultimi anni sono entrati nel nostro gergo culinario a simboleggiare una cucina e una cultura, quella giapponese, affascinante e per molti versi ancora misteriosa e sconosciuta. E soprattutto, con una netta divisione tra 'made in Japan' e il 'similgiappo'.

"Nella sola Milano ci sono circa 350 insegne di ristoranti giapponesi, ma solo una ventina di questi sono autentici. Solamente a Milano, Roma, Torino e in qualche località turistica si trovano ristoranti che preparano una vera cucina giapponese. La nostra associazione si è costituita proprio questo: per difendere e promuovere la conoscenza del cibo e della cultura del Sol Levante".

La storia vera, invece, ha avuto inizio, in Italia, da un unico grande pioniere della gastronomia: Minoru Hirazawa, detto Shiro: era un allievo così bravo di una delle più importanti scuole di cucina del Giappone che il suo maestro lo mandò in Italia con lo scopo preciso di far appassionare gli italiani alla cultura gastronomica del suo Paese. Lui si trasferì e iniziò a lavorare per il ristorante Tokyo, il primo aperto in città (con gli anni Shiro ha aperto poi anche un suo ristorante, a Milano). Per avere la migliore materia prima a portata di mano, selezionò una coltura di riso nipponico che fosse adatta alle risaie di Vercelli e organizzò una produzione italiana dei principali ingredienti giapponesi come tofu e miso.

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