Sicilia

Annullata la confisca dei beni dell'ex patron Valtur, non era un uomo dei boss

Giudici, non era socialmente pericoloso. Legali, 'fine del calvario'

Redazione Ansa

Per i pentiti avrebbe costruito la sua fortuna imprenditoriale grazie ai suoi legami con la famiglia mafiosa dei Messina Denaro. Originario di Castelvetrano, il paese del boss latitante per 30 anni, muratore senza un quattrino, Carmelo Patti, emigrato al nord, aveva fatto fortuna prima con il cablaggio di fili per auto, poi, tornato in Sicilia, con il turismo. Una ascesa sospetta secondo gli inquirenti che, nel 2018, chiesero e ottennero dal tribunale di Trapani la confisca del tesoro dell'ex muratore, nel frattempo diventato patron della Valtur.

A distanza di sei anni dalla decisione dei giudici e dopo anni di processo, la corte d'appello di Palermo ha annullato il provvedimento e ridato i beni agli eredi: Patti, infatti, è morto nel 2016. La Corte ha escluso che l'imprenditore, difeso dall'avvocato Francesco Bertorotta, abbia avuto nel corso della sua attività rapporti di "vicinanza" con l'associazione mafiosa. Tra fallimenti e conseguenze delle amministrazioni giudiziarie, però, agli eredi, assistiti dagli avvocati Roberto Tricoli, Raffaele Bonsignore, Angelo Mangione, Marco Antonio Dal Ben e Giuseppe Carteni, di un patrimonio stimato dalla Dia in un miliardo e mezzo di euro, resta ben poco.

"Prendendo in considerazione il materiale probatorio complessivamente raccolto sia nel corso del primo grado che nel grado di appello deve escludersi che siano emersi concreti sintomi della pericolosità sociale (requisito per le misure patrimoniali come la confisca ndr) del proposto, essendo rimasta dimostrata una vicinanza a soggetti, a loro volta vicini all'associazione mafiosa, in assenza di concreti elementi indiziari relativi a una cointeressenza di esponenti mafiosi nelle attivita' imprenditoriali di Patti", scrive la corte. Per i giudici inoltre nulla proverebbe il fatto che uno dei più fidati collaboratori di Patti fosse il cognato di Messina Denaro, Michele Alagna, fratello della donna che al boss ha dato una figlia.

L'imprenditore e Alagna si sono conosciuti nel 1991 e la bambina è nata nel 1996: è da dimostrare, dunque, per il collegio, che la relazione tra il capomafia e l'amante risalisse a 5 anni prima e che dunque il commercialista, peraltro mai indagato per mafia, avesse rapporti pregressi con il padrino. La corte, poi, non ha ritenuto credibilii le dichiarazioni contro Patti rese sia dal pentito Angelo Stino che da Nino Giuffrè. "Si potrebbe dire che il tempo è galantuomo - dicono gli avvocati - restano, però, i segni di una aggressione mediatica ingiustamente subita dal cavaliere Patti che è stato indicato al pubblico di molte trasmissioni televisive e dalla stampa nazionale come un imprenditore 'vicino' al contesto mafioso di Castelvetrano".

"Il cavaliere Patti è deceduto incensurato ed è stato assolto da tutti i processi nei quali è stato chiamato a difendersi ed ha dedicato la sua vita al lavoro ed alla crescita delle sue aziende dopo essere emigrato al nord Italia all'età di 26 anni.- conclude il collegio difensivo -. Non ha mai reagito alle aggressioni mediatiche e non mai perso fiducia nella Giustizia che oggi, finalmente, gli restituisce integralmente l'onorabilità".

   

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