Sicilia

Mafia: il 'pezzo' dell'Ansa il giorno del maxi blitz contro i clan agrigentini

L'Indagine aveva svelato il pizzo nel Centro migranti, in cella era finito anche un sindaco

Mafia: maxi blitz nell'agrigentino, 56 arresti

Redazione Ansa

Ecco il pezzo riassuntivo dell'Ansa dello scorso 22 gennaio, il giorno della maxi operazione che aveva portato all'arresto di 58 persone

MAFIA: DECAPITATI CLAN AGRIGENTINI, 58 ARRESTI

(di Lara Sirignano)

(ANSA) - PALERMO, 22 GEN - Con orgoglio e una punta di snobismo si definivano il "fiore all'occhiello" di Cosa nostra. Fieri dell'osservanza di una ortodossia mafiosa che i palermitani da tempo hanno dimenticato. "La provincia di Agrigento è più seria, i palermitani affidabili non ci sono più. Forse solo a Corleone ci sono persone con la testa sulle spalle, persone che ti dicono una cosa ed è quella", diceva il boss di Bivona Luciano Spoto, non sapendo di essere intercettato, a Giuseppe Quaranta, faverese, messo dagli storici capimafia Fragapane alla guida di un mandamento mafioso enorme che i picciotti chiamano "la montagna".

Il "credo" mafioso di un tempo e i vecchi valori come il "rispetto" ricorrono spesso nelle conversazioni degli uomini d'onore registrate per anni dai carabinieri che, al termine di una lunghissima indagine, oggi hanno arrestato 58 tra padrini, gregari ed estortori dell'agrigentino. Un'operazione imponente - che ha impegnato 400 militari, elicotteri e unità cinofile - come nell'agrigentino non se ne erano mai viste.

L'inchiesta, coordinata dalla Dda di Palermo, ha decapitato i vertici di un'estesissima area mafiosa. "Sono 15 le persone arrestate a cui è stata riconosciuta dal gip il ruolo di capo di Cosa nostra", ha spiegato il procuratore aggiunto Paolo Guido che più volte è tornato, in conferenza stampa, sulle caratteristiche della Cosa nostra agrigentina. Una mafia che parla un linguaggio antico, perpetua organigrammi tradizionali e si vanta di esistere "fin dalla storia del mondo". Ma non disdegna business nuovi, ha fatto notare il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi. Ovunque ci siano fondi pubblici su cui mettere mano i clan accorrono. Dall'inchiesta è emerso, infatti, che il capomafia di Cammarata Calogerino Giambrone avrebbe cercato di infilarsi nella gestione di una coop, la San Francesco di Agrigento, che si occupa di accoglienza di migranti. Avrebbe curato la gestione di tutta la parte amministrativa relativa alle autorizzazioni comunali per regolarizzare l'immobile da destinare a centro di accoglienza, "con l'intento di ottenere, - spiegano i magistrati - quale corrispettivo dell'interessamento, l'assunzione da parte della cooperativa di persone vicine al clan e il pagamento di una somma in denaro da stabilire in percentuale sul numero degli immigrati ospitati nel centro".

L'indagine dei carabinieri racconta anche le alterne vicende del mandamento. Dalla scarcerazione di Francesco Fragapane, figlio dello storico boss ergastolano Salvatore, capo di Santa Elisabetta, al suo ritorno al potere e alla ricostituzione di un maxi mandamento che ricomprende tutta l'area montana dell'agrigentino e i paesi di Raffadali, Aragona, S. Angelo Muxaro e San Biagio Platani, Santo Stefano di Quisquina, Bivona, Alessandria della Rocca, Cammarata e San Giovanni Gemini. Prima di tornare in cella, Fragapane avrebbe nominato suo successore Giuseppe Quaranta che, però, non si sarebbe rivelato all'altezza e sarebbe stato sostituito dal cugino di Fragapane. Cosa nostra, si legge dagli atti, non ha trascurato i vecchi affari per i nuovi e continua a "dedicarsi" alle estorsioni. Sono 27 i taglieggianti accertati: imprese, commercianti, negozi. Nessuna vittima ha denunciato. Tra i reati contestati agli indagati, oltre al racket, all'associazione mafiosa, alla truffa a imprese sottoposte all'amministrazione giudiziaria e all'intestazione fittizia di beni, c'è anche una ipotesi di concorso in associazione mafiosa. Ne risponde il sindaco di San Biagio Platani, Santino Sabella che è stato arrestato. Secondo i pm, concordava le candidature alle comunali con i boss della zona e condizionava gli appalti.

L'indagine sotto questo aspetto ha confermato quello che da anni è un dato: il primato nel narcotraffico delle ndrine calabresi a cui i mafiosi agrigentini si rivolgevano per gestire l'affare. "La presenza di Cosa nostra continua a essere attuale e vitale", ha ammonito Lo Voi. "Segno - ha detto - che i clan sono tutt'altro che sconfitti". (ANSA) 

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