Sardegna

Su il sipario in carcere, in scena 20 attori detenuti

Cagliari, sul palco testo di Giacobbe e musica dei Tazenda

Redazione Ansa

di Stefano Ambu

Liberi dentro. Un gioco di parole, ma anche la sintesi dello spettacolo andato in scena ieri pomeriggio nella sala della biblioteca del carcere di Uta, alle porte di Cagliari. Attori e musicisti, i detenuti dell'istituto penitenziario. L'aiuto "tecnico" è arrivato da fuori, quello della compagnia teatrale Cada die, che ha preparato i protagonisti dello spettacolo. La scena più bella? Quando un attore detenuto, tra l'altro bravissimo, si è fermato a metà di un lungo monologo, forse tradito dall'emozione e dalla memoria. E gli altri compagni di carcere seduti tra il pubblico hanno applaudito, coprendo il vuoto. E consentendo a chi era in scena di riprendersi.

Un lavoro di squadra tra chi ha lavorato all'opera e chi ha assistito: un senso di solidarietà che ha illuminato il pomeriggio di un posto dove le giornate spesso sono tutte uguali. "Grazie per questa opportunità - ha detto a fine spettacolo un giovane detenuto - perché ci ha consentito di impegnare il tempo in maniera proficua. E penso che sia la buona strada per un futuro personale migliore". Sul palco venti detenuti e quattro nazionalità di provenienza: Algeria, Italia, Nigeria, Venezuela. Tutti che in scena parlavano l'italiano. E addirittura il sardo perché il testo era "Arcipelaghi", tratto dal romanzo della scrittrice nuorese Maria Giacobbe. Per tutti una prima volta. Ma chi li ha guidati, Pierpaolo Piludu e Alessandro Mascia, non ha potuto nascondere la sorpresa di aver trovato dei talenti naturali. "Anche se all'inizio - confessano - sembrava con questo spettacolo di non andare da nessuna parte. Poi tutto si è messo a posto naturalmente".

E la resa è stata ottima: attori detenuti convincenti e coinvolgenti. Perché tutti hanno seguito con grande attenzione e disciplina i corsi organizzati e tenuti dagli organizzatori. Anzi, arrivavano in anticipo alle lezioni. E sino alla notte prima tutti stavano ripassando la loro parte. E tutti sono entrati nella parte. Non è finita con gli applausi, i bravi e le strette di mano. Perché c'è un futuro, anche di teatro, oltre le sbarre. Una porta è mezzo aperta. "Siete tutti invitati ai laboratori, faremo ancora teatro insieme", promette Piludu.

Recitazione, ma anche molta musica con una predilezione per i Tazenda, da Terra Madre a Mamoiada. C'è stata anche una produzione originale, composta da due detenuti. "Siamo qui ma in fondo liberi, liberi dentro. Liberi di viaggiare ogni volta con la mente. Liberi di volare con la fantasia ma liberi di sentirci ancora uomini liberi", questa una parte del testo. Parole importanti per chi uscirà tra poco e per chi dovrà rimanere ancora lì per molti anni. Il direttore del carcere Marco Porcu ha assistito allo spettacolo in prima fila. E ha seguito con grande partecipazione ogni secondo. "È stato bello ritrovarsi qui - ha spiegato - in un clima diverso dalle normali consuetudini di ogni giorno.

Bello soprattutto dopo un anno e mezzo molto difficile con le restrizioni che hanno toccato anche il nostro mondo". L'idea messa a punto dai due artisti del Cada die è parte del programma nazionale "Per Aspera ad Astra - Come riconfigurare il carcere con la cultura e la bellezza", terza edizione, promosso da Acri (Associazione di Fondazioni e di Casse di Risparmio) e sostenuto da dieci Fondazioni bancarie, tra cui la Fondazione di Sardegna, e che da 3 anni coinvolge circa 250 detenuti di 12 carceri italiane in percorsi di formazione artistica e professionale nei mestieri del teatro. Una giornata diversa e di speranza. Una festa che ha lasciato qualcosa nel cuore di chi ha partecipato da protagonista. Ma anche di chi ha assistito. Messaggio fin troppo chiaro: anche il teatro è una ripartenza.
   

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