Economia

Colombi (Uilpa): «La politica spera negli algoritmi, noi negli esseri umani»

UILPA

Segretario, lei è reduce da una intensa tornata di manifestazioni in tutta Italia. La protesta contro i recenti provvedimenti del governo ha riempito le piazze. Il movimento sindacale è tornato?

Il movimento sindacale non se ne è mai andato, con buona pace di tutti coloro a cui piacerebbe il contrario. Ancora una volta CGIL, CISL e UIL hanno portato in piazza la voce di coloro che il potere non ascolta. Mentre la politica appare sempre più occupata a spartirsi incarichi, i bisogni reali dei lavoratori, dei pensionati, dei giovani e di tutti coloro che non partecipano ai banchetti del privilegio passano in secondo piano.

Che atmosfera si respira fra i lavoratori?

Nelle manifestazioni a cui ho partecipato ho toccato con mano il desiderio di partecipazione e di riscatto di tantissimi cittadini delusi dalle politiche governative. A Bergamo, dove ho parlato a nome di tutto il sindacato confederale in occasione della festa del Primo Maggio, la piazza era gremita come non mai. È stata un’esperienza elettrizzante perché si avvertiva nell’aria la voglia di esserci, come non accadeva da tempo. Credo che i cittadini e i lavoratori siano consapevoli che è necessario mobilitarsi per fermare trent’anni e più di politiche contro il lavoro, contro i diritti, contro la partecipazione, contro di noi.

Però secondo molta stampa non tutti i lavoratori possono lamentarsi. Nel settore pubblico la crisi morde meno che nel privato.

Lo vada a dire ai tre milioni di dipendenti pubblici che in un anno si sono visti decurtata la retribuzione del 10% a causa dell’inflazione, magari dopo aver rinnovato un contratto atteso da anni. Sa quanti di loro hanno un acceso un mutuo pensando di poter contare sul posto fisso? Sa quanti di loro con il proprio stipendio mantengono due, tre, quattro componenti del nucleo familiare? E sa quanti dipendenti pubblici aspettano con ansia tutti i mesi l’accredito dello stipendio per pagare gli studi dei figli, le cure per sé stessi e per i familiari, riempire il carrello della spesa e pagare le tasse? Il lavoro pubblico è la prossima frontiera della povertà. Già oggi decine, forse centinaia di migliaia di dipendenti pubblici con il posto fisso sono candidati a diventare working poor.

Ma perché ce l’ha con il governo? Dopo tutto gli ultimi dati mostrano che nel 2022 l’occupazione nel settore pubblico è tornata ad aumentare. Non accadeva da più di dieci anni.

Noi diciamo a questo governo le stesse cose che abbiamo detto a quelli precedenti e che continueremo a dire ai prossimi se continueranno a far finta di non capire due cose: primo, alla P. A. serve una programmazione a lungo termine; secondo, servono investimenti massicci e ben indirizzati. Mi viene da sorridere quando sento qualche ministro annunciare tutto contento che secondo le stime della Ragioneria Generale dello Stato l’occupazione nel settore pubblico dovrebbe crescere di 27mila unità nel 2022 rispetto al 2021. A parte il fatto che i dati ufficiali si conosceranno solo nel 2024, ma poi, se si analizzano i numeri si scopre che l’incremento riguarda solo posti precari, mentre per i posti a tempo indeterminato si prevede addirittura un ulteriore calo. E questa sarebbe la politica degli investimenti per il rilancio della P.A.? Via, non ci prendiamo in giro.

Come spiega questa doppiezza della politica?

Nella testa di chi ci governa alberga l’illusione che la tecnologia digitale sarà in grado di sostituire sempre più gli esseri umani. È un errore perché nessun algoritmo potrà mai dare alla collettività lo stesso tipo di servizi degli operatori in carne e ossa. L’unico risultato sarà quello di alzare un muro sempre più alto fra Pubblica Amministrazione e cittadini. I quali già oggi sono costretti ad interagire con sistemi informatici astrusi e programmati per soddisfare le proprie regole tecniche anziché le esigenze delle persone che si rivolgono alle strutture pubbliche per le mille necessità della vita.   

In altre occasioni lei ha affermato che occorre semplificare le procedure per facilitare la vita dei cittadini e dei lavoratori pubblici. Non pensa che le nuove tecnologie possano essere di aiuto?

Sì, purché il loro impiego sia condiviso con i lavoratori. Se qualche segmento di attività viene trasferito su piattaforme, ciò deve avvenire sempre a valle di un confronto con le rappresentanze sindacali per valutare i riflessi delle innovazioni tecnologiche nell’organizzazione del lavoro. Anche per questo dobbiamo attivare e rendere operativi in tutte le amministrazioni gli Organismi paritetici per l’innovazione introdotti dal CCNL 2016-2018 e potenziati nell’ultimo CCNL.

Nelle amministrazioni si va nella direzione che lei indica?

In molte no. Si tende a favorire la diffusione di processi informatizzati di cui non si conoscono a fondo le caratteristiche tecniche e le potenziali criticità. Esistono enormi problemi che riguardano la protezione dei dati personali di operatori e utenti, nonché il controllo a distanza dei dipendenti, i cui limiti, a suo tempo fissati dallo Statuto dei Lavoratori, ormai possono essere facilmente aggirati. Per non parlare dell’intelligenza artificiale applicata alla definizione dei carichi di lavoro e alla valutazione della performance.

Anche lei è preoccupato per l’invasione degli algoritmi?

No, sono preoccupato di chi non si preoccupa delle conseguenze di un’organizzazione del lavoro che con la scusa del progresso scientifico passa sulla testa dei lavoratori.  La tecnologia non è mai neutrale, implica sempre scelte politiche. E poi come già sappiamo la tecnologia digitale non è necessariamente sinonimo di semplificazione. Anzi, spesso complica la vita ai lavoratori e ai cittadini. Perciò l’algoritmo va contrattato.

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