Cultura

“La fonte del sapere” e “Soldati”, due romanzi di amore e guerra alla ricerca di un senso perduto

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La prima metà del Novecento, segnata dalle sanguinose Guerre Mondiali, rappresenta una pagina particolarmente oscura della nostra storia, dove la distruzione e la desolazione hanno sepolto, sotto cumuli di macerie, i sogni e le speranze di migliaia di giovani, costretti da un giorno all’altro a imbracciare le armi. Le drammatiche vicende di questi anni hanno influito drasticamente nell’esistenza di chi le ha vissute, stroncando vite e spezzando legami, riempiendo i superstiti di tante domande e poche risposte. Arriva però il momento in cui riconciliarsi con il passato diventa una condizione imprescindibile per andare avanti, alla ricerca di un senso perduto e da dover ricostruire. Nei suoi romanzi storici, Sebastiano Privitera evoca gli echi di un passato ignoto ai suoi protagonisti, scavando nelle profondità della terra per riportarne alla luce le vere radici: lacrime, sangue, onore e amore sono le parole chiave della sua narrazione densa e coinvolgente.

La fonte del sapere è il primo romanzo dell’autore edito per Europa Edizioni nel 2022, seguito pochi mesi dopo, per le stesse edizioni, da Soldati. Entrambi ambientati negli anni Quaranta del secolo scorso, narrano le vicende di uomini e donne molto diversi tra loro, ma uniti dallo stesso desiderio di conoscere i segreti del proprio passato per poter lasciare spazio, poi, all’amore che da tanto tempo desideravano. Il luogo prescelto per radicare queste esistenze è la Sicilia, calderone di popoli, folklore e tradizioni, nonché terra di origine dell’autore stesso. È soltanto lì che i protagonisti, nati e cresciuti molto lontano da quell’isola abbacinata dal sole, potranno ricercare una verità capace di mettere in discussione la loro stessa identità.

Protagonista de La fonte del sapere è Frank, un soldato italo americano che durante il secondo conflitto mondiale viene paracadutato per caso in un paesino siciliano, con l’ordine di portare avanti una missione militare. Il ragazzo non avrebbe mai immaginato di atterrare, ferendosi, nel santuario della tenuta di un nobile del luogo, ma soprattutto mai avrebbe creduto di essere capitato proprio nel paese di origine di suo padre e di essere accolto e curato da uno dei suoi più fidati amici. Dopo qualche attimo di diffidenza, il giovane e incredulo protagonista decide di fidarsi di quell’uomo, Zu ‘Ntoni, accettando di conoscere tutta la verità sul padre prematuramente scomparso e sulle proprie origini.

I fili del romanzo permettono all’invenzione letteraria di intrecciarsi alla realtà fino a confondersi: la storia è infatti ispirata a fatti realmente accaduti, poi adeguatamente rimodellati dalla sapiente penna dell’autore. Nella premessa al romanzo è infatti lo stesso Privitera a spiegare come questa idea abbia iniziato a martellare nella sua testa, fin quasi a costringerlo a trasformarla in un romanzo: “Una mattina continuava a tornarmi in mente l’immagine di un frate apparsomi durante il sonno, il quale, uscendo dal riquadro del cartellone di un cantastorie con espressione supplichevole, mi aveva detto: «Raccontaquel che sai, ne avrà un gran bene la mia anima». Al momento non ci pensai troppo, ma mi rimase tuttavia impressa la stranezza di quell’invito. Non molto tempo dopo venne a mancare, in Sicilia, una mia vecchia zia. L’avevo vista poche volte negli ultimi anni e a lei, in quel giorno, associai gli anni della mia infanzia. A quell’epoca si viveva nella grande casa dei miei nonni, dove dopo cena nelle sere d’inverno ci si riuniva tutti intorno al braciere o d’estate sul balcone. I grandi parlavano dei fatti della giornata o di cose passate; mio padre, a volte, anche della guerra. Spaziando con i ricordi, mi tornò in mente il racconto di mio nonno riguardo alla casuale morte di un avo in convento e all’inspiegabile e immensa donazione fatta dallo stesso al padre superiore, con le successive tragiche vicende nel tentativo di riavere la proprietà. “Ecco!”, all’improvviso capii a che cosa si riferiva il frate del sogno. Ma perché si era rivolto a me? Ma certo: ero l’unico ancora in vita, l’ultima memoria storica!”

Sebastiano Privitera affida proprio a Zu ‘Ntoni la responsabilità di tramandare queste vicende, ricostruendo un tassello dopo l’altro una storia antica di potere, sotterfugi e avidità. A scuotere ulteriormente il giovane soldato è poi l’incontro fugace con una misteriosa donna di quei luoghi, da cui rimane immediatamente affascinato e la quale a sua volta non potrà fare altro che pensare a lui dopo quell’incontro. Una storia d’amore, la loro, che per quanto dolorosa e ricca di ostacoli segnerà lo spartiacque tra un passato drammatico e un futuro ancora tutto da scrivere. Per rendere ulteriormente partecipe il lettore di questa vicenda, Privitera decide inoltre di affidare al lettore la scelta del finale che preferisce: la conclusione sarà la stessa, ma le prospettive attraverso le quali verrà letta saranno due, molto diverse tra loro.

Soldati raccoglie l’eredità del primo romanzo approfondendo ulteriormente la sfera emotiva di un personaggio che, per motivi ancora più intimi e dolorosi, è determinato a conoscere le vicende legate alla sua nascita, nella speranza di incontrare suo padre, un uomo del quale non conosce nemmeno il nome. Il protagonista Marko è infatti un giovane ragazzo iugoslavo che ha sempre vissuto con una madre che non aveva mai lasciato trapelare alcuna informazione sull’uomo con il quale lo aveva concepito: la versione ufficiale fino a quel momento era che fosse morto in guerra. Un coetaneo del ragazzo mette tuttavia in giro la voce che Marko sia figlio della violenza subita dalla madre da parte di un soldato tedesco, illazione che lascia cadere il giovane in un grande sconforto. La madre sceglie allora di affidare al figlio la verità, almeno quella che lei conosce: non un nome, ma soltanto un indirizzo per ritrovarlo, in un piccolo paese della Sicilia.

È profondamente suggestivo in questo romanzo il modo che ha l’autore di indugiare sui luoghi e le tradizioni che appartengono non alla cultura di Marko, ma al suo sangue: è una sorta di richiamo primordiale quello che avverte nel momento in cui attraversa lo Stretto di Messina, quando su suggerimento di un compagno di viaggio appena conosciuto – che diventerà la sua guida tra le vie di Acireale – assaggia per la prima volta un arancino o quando, dopo aver bussato alla porta dell’uomo che stava cercando, viene accolto in casa e invitato a pranzo prima ancora di aver svelato la propria identità.

Il racconto diretto delle vicende di guerra, narrate dai personaggi che le avevano vissute in prima persona, evidenziano in maniera forte e accorata gli orrori e l’abbrutimento dei soldati spezzati nel profondo del proprio spirito. Una umanità frammentata che tuttavia non smette di cercare il calore umano e sogna di ricominciare, animata dal desiderio di amore e conforto proprio di ogni individuo. Ancora una volta, sono gli umani sentimenti a creare un varco di luce all’interno dell’oscurità di quei tempi, che tuttavia è importante tenere sempre vivi nella memoria, perché non si ripetano.

Nel caloroso augurio contenuto nelle ultime righe del suo secondo libro, Sebastiano Privitera evidenzia il messaggio che si trova alla base dei suoi libri: soltanto l’amore può sciogliere le catene della guerra e della morte. Tante sono le storie e gli avvenimenti ai quali poter attingere per raccontare quegli anni, ma è narrandoli seguendo il filo dei legami che è possibile comprenderli dal profondo: soltanto così, forse, sarà davvero possibile non dimenticarli.

 

 

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