Campania

Per fare "GOL" è necessaria una buona ed efficace filiera della formazione

FMTS GROUP

Ragionare sul ruolo degli enti attuatori all’alba del maxi piano del governo finalizzato al rilancio delle politiche attive per il lavoro è quanto mai necessario. Con l’approvazione della Legge di Bilancio 2022 si definisce in modo chiaro anche la platea alla quale il programma Garanzia di Occupabilità dei Lavoratori si rivolge. Farei però un piccolo passo indietro, partendo dal nome scelto e dall’uso del sostantivo “garanzia” quasi a voler sottolineare la solidità del percorso che prende in carico, profila, forma e ricolloca i disoccupati e le persone in transizione occupazionale. Tra i traguardi da raggiungere c'è quello di coinvolgere almeno 3 milioni di persone entro il 2025, di questi il 75% devono essere donne, disoccupati di lunga durata, persone con disabilità, giovani under 30, lavoratori over 55. Gli obiettivi sono chiari. Al centro ci sono le persone ed i loro profili. Mondi tra loro diversi e per i quali sono necessari strumenti specifici. 

C’è un passaggio che merita attenzione: almeno 800 mila beneficiari dovranno essere coinvolti in attività di formazione, di questi circa 300 mila seguiranno percorsi di rafforzamento delle competenze digitali. Ed ecco che tornano in primo piano due soggetti: chi di fatto fa formazione, cioè quegli enti che mettono in campo progetti e percorsi utili al raggiungimento degli obiettivi, e chi deve fare in modo che domanda ed offerta si incontrino. E allora è necessario comprendere a chi si sta rivolgendo GOL. E così i destinatari si moltiplicano: il programma include anche gli autonomi, i lavoratori in Cig, i beneficiari di Naspi e Dis-coll, del Reddito di Cittadinanza, i fragili o vulnerabili - come Neet, disabili, donne in condizioni di svantaggio, over 55 -, i disoccupati senza sostegno al reddito, i lavoratori autonomi che cessano in via definitiva l’attività professionale e i cosiddetti 'working poor' cioè coloro che, pur lavorando, versano in condizione di precarietà e non dispongono di salari dignitosi. Definire a chi è necessario oggi “garantire” dei percorsi di ricollocazione lavorativa è necessario per tracciare la strada da percorrere così come sarebbe necessario interpellare le Agenzie per il Lavoro per capire come il mercato si sta muovendo, quali sono le reali esigenze del sistema impresa e se c’è un bacino dal quale attingere. Mappatura che, fermo restando il contributo fornito dai Centri per l’Impiego, ha bisogno anche dei dati delle Agenzie per il Lavoro per essere definita esaustiva. A questo punto una parentesi diventa necessaria, ed è quella relativa ai modelli utili al raggiungimento dei risultati attesi. Esistono in Italia modelli di Fondi già sperimentati che consentono di formare, attraverso la “politica attiva formazione professionale” candidati in condizioni di non occupazione e finanziare la formazione agli enti/agenzie che la promuovono, vincolandoli al raggiungimento del 35% di placement affinché sia ammesso il finanziamento. In questo modo si darebbe vita ad una filiera con doppio canale ed obiettivo unico: da una parte la formazione con obiettivo assunzione e dall’altra l’orientamento finalizzata all’occupazione. Nel caso in cui si dovesse perdere il lavoro? Entrerebbe in gioco la ricollocazione. 

Il reinserimento nel mondo del lavoro chiama in causa diversi punti che lo stesso GOL prevede, come l’upskilling (interventi formativi di breve durata e dal contenuto professionalizzante) o il reskilling (una più strutturata attività di formazione necessaria per sviluppare abilità significativamente differenti dal passato) o ancora l’inclusione che chiama in causa la rete dei servizi territoriali o la stessa ricollocazione collettiva. La Campania, secondo le stime, è tra le prime tre regioni con Lombardia e Sicilia ad usufruire del tesoretto a loro assegnato in quota del 20% rispetto al budget predisposto per le "Politiche attive del lavoro" relativo alla missione "Inclusione e coesione" del Recovery Plan. S’iniziano ad intravedere dei segnali ma è importante lavorare anche su una maggiore cultura della formazione. E qui torna il concetto con il quale ho iniziato questa riflessione: solo quando si ha la consapevolezza che ridefinire o rafforzare le proprie competenze rappresenta una garanzia per il futuro allora la scelta diventa un’inevitabile conseguenza, sia per le imprese che per i lavoratori.

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