Lombardia

Spari in tribunale: Giardiello, sapevo bene cosa stavo facendo

Mi sentivo in qualche modo costretto a farlo

Redazione Ansa

(ANSA) - MILANO, 8 LUG 2015 - "Mi sentivo come se ero in un tunnel e dovevo fare quella strada. Sapevo quindi bene quello che stavo facendo anche se mi sentivo in qualche modo costretto a farlo". Claudio Giardiello, imprenditore fallito, ha raccontato che si sentiva cosi' mentre impugnava la sua pistola e il 9 aprile uccideva tre persone e ne feriva altre due nel Palazzo di Giustizia di Milano, dove era imputato per bancarotta. Davanti ai pm di Brescia, competenti a indagare perche' tra le vittime c'e' un magistrato milanese, il 30 giugno scorso ha ripercorso per la prima volta quella giornata di morte cominciata banalmente "verso le 6 e 20, quando mi sono svegliato come al solito". Di insolito, quel giorno, c'era quell'udienza per la bancarotta di una sua societa' e, quando esamino' in casa la documentazione, "li' c'e' stato un momento che e' scattato qualcosa in me. Volevo suicidarmi. Ero stanco. Dieci anni in cui avevo subito molto e non ce la facevo piu' ad andare avanti. Allora ho preso la pistola che tenevo in cucina sotto il forno". Non ebbe il coraggio di farlo e ando' in tribunale. Arrivato all'entrata di via San Barnaba, "sono passato regolarmente dal metal detector mentre la borsa nella quale custodivo la pistola l'ho fatta passare dal Fep, lo strumento preposto al controllo degli effetti personali. Ho pensato che se avessero individuato l'arma, avrei detto che volevo suicidarmi in Tribunale e avrei spiegato il perche' di quella intenzione". Dice, assistito dall'avvocato Andrea Donde' di non aver preso particolari accorgimenti per nascondere l'arma ma e' un racconto che inquirenti e investigatori stanno controllando, e per questo hanno anche simulato il passaggio di una pistola dallo stesso varco per capire se invece Giardiello non avesse cercato di 'schermare' l'arma nella sua borsa perche' il metal detector non la rilevasse. Poi, in aula, dopo qualche schermaglia con il suo avvocato che rinuncia al mandato, l'esplosione: "Quando Rocchetti si e' tolto la toga, allora ho pensato che era il momento giusto di farla finita. Per finire una vita di dolore e di sofferenza, una vita di soprusi, di avidita' di persone malvagie. Allora ho preso dalla borsa la pistola, ma non so cosa mi e' scattato nella testa, in quel momento e' stato chiamato un testimone. Dovevano chiamare una delle segretarie e invece il mio avvocato chiama proprio l'avvocato Lorenzo Claris Appiani (una delle tre vittime ndr.) e io sono impazzito. Sono proprio andato fuori di testa". Poi e' toccato al coimputato Giorgio Erba morire, quindi Giardiello ha ferito un nipote, anch'egli imputato ("mio nipote mi ha tradito"). Fuori dall'aula ha ferito quindi il commercialista Stefano Verna ("Non volevo ucciderlo perche' e' un bravo ragazzo e gli ho volutamente sparato alle gambe"). Nel suo racconto, il giudice fallimentare Ciampi, che aveva giudicato in un suo fallimento, non era un obbiettivo. "Non sapevo fosse il suo ufficio", ma quando ha intuito che poteva essere lui "non so cosa mi ha preso e la mia testa mi ha detto che gli dovevo sparare e cosi' ho fatto". Poi la fuga e la cattura. A precisa domanda del pm, ha risposto: "Mi chiedete se e' possibile se vedevo in quelle persone la causa della mia rovina.. Si' credo proprio sia cosi'. Mi rincresce di averlo fatto". "L'Ufficio - e' annotato nel verbale - da' atto che Giardiello si alza in piedi e comincia a piangere".

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