Liguria

Ponte Genova: teste, via da Spea perché si puntava su profitto

Antonio Pedna, suggerii di chiudere il Morandi per fare lavori

Redazione Ansa

(ANSA) - GENOVA, 07 GIU - "La politica societaria era cambiata, il focus era tutto spostato sul profitto. Per questo nel 2013, alla scadenza del mio contratto, andai da un'altra parte, anche se con un contratto meno remunerativo, ma almeno facevo le cose per bene". Sono le parole di Antonio Pedna, ex dipendente di Spea, nel corso del processo per il crollo del ponte Morandi (14 agosto 2018, 43 vittime).
    Pedna si occupava di coordinamento per la sicurezza nelle fasi di progettazione degli interventi e delle modalità di installazione dei cantieri e piano di sicurezza. "Negli anni la mia attività è stata messa in discussione, compressa per motivi economici e temporali".
    Il testimone si era anche occupato del progetto di retrofitting del Morandi (il rinforzo delle pile 9 e 10).
    "Installare il cantiere era complesso e suggerii di chiudere il viadotto al traffico. Giampaolo Nebbia (uno dei 58 imputati), in una mail del 2011 mi rispose: 'Il problema è molto serio. Aspi non vuole disturbi al traffico, quindi dobbiamo ragionare su soluzioni alternative". Per la procura, in pratica, Spea, la controllata che si occupava di manutenzioni, era assoggettata ad Aspi e faceva quello che la società disponeva.
    Sentito in controesame anche Giuseppe Stigliano, dipendente Cesi, società di consulenza a cui si rivolse Autostrade.
    "Notammo delle anomalie tra i dati raccolti dai nostri sensori installati nelle pile 9 e 10 e il modello teorico. Suggerimmo alla società di installare un sistema di monitoraggio permanente". (ANSA).
   

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