Liguria

Infermiera uccisa a Genova, anche lei prestava soldi a usura

E' quanto emerso da indagini dopo la riapertura del caso

Redazione Ansa

(ANSA) - GENOVA, 22 GEN - Maria Luigia Borrelli, l'infermiera di giorno e prostituta di notte uccisa con un trapano 27 anni fa nel centro storico di Genova, non era solo una vittima degli strozzini ma anche lei prestava soldi con interessi elevati. E' il dettaglio che emerge dalle nuove indagini della squadra mobile dopo la riapertura di uno dei cold case che più hanno impegnato gli investigatori.
    Borrelli, ritengono gli investigatori coordinati dal sostituto procuratore Patrizia Petruzziello, prestava soldi nell'ospedale dove aveva lavorato come infermiera prima di dedicarsi all'assistenza agli anziani in forma privata e al meretricio. E tra i suoi "debitori" potrebbe esserci stato anche un primario, ormai morto, su cui si concentrano i nuovi accertamenti. A fare il nome del sanitario è stata una donna, all'epoca dei fatti poco più che bambina, che dopo avere visto una trasmissione in televisione ha contattato il giornalista Marco Menduni per rivelargli alcune confidenze ricevute dalla madre, non più in vita.
    "Maria Luigia Borrelli potrebbe essere stata uccisa da un primario di un ospedale cittadino con il quale aveva una relazione e che lei aveva ricattato". La madre le disse che il primario nei giorni dopo l'omicidio si presentò al lavoro con il volto segnato tanto che qualcuno gli chiese se aveva fatto a pugni con il gatto. Borrelli, era emerso dall'autopsia, si era difesa e aveva graffiato il suo assassino tanto che le era saltata un'unghia e sotto le altre erano rimasti pezzi di pelle.
    La donna era stata prima picchiata, poi colpita con uno sgabello e infine trapassata in più punti con il trapano. Secondo la supertestimone però, la donna sarebbe stata uccisa con un bisturi e l'attrezzo da lavoro usato solo per depistare. Per questo gli investigatori stanno riguardando anche i risultati dell'autopsia. Il Dna dell'assassino è stato trovato dagli investigatori di allora sulla scena del crimine, ma non ha dato corrispondenza con i sospettati. Anzi ne ha scagionato uno ma troppo tardi: travolto dalla vergogna per i sospetti, il muratore Ottavio Salis, proprietario del trapano utilizzato presente su luogo del delitto perché stava ristrutturando il basso, si era ucciso lanciandosi dalla sopraelevata. (ANSA).
   

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