Friuli Venezia Giulia

Libri: Jelincic, sono scrittore e non alpinista che scrive

'Vedo cose diverse'. Eroi invisibili Everest dedicato a sherpa

Redazione Ansa

(ANSA) - TRIESTE, 21 LUG - "Sono uno scrittore che si arrampica, non un alpinista che scrive": si descrive così Dušan Jelincic. E poi precisa: "lo scrittore quando compie una spedizione vede e osserva cose diverse rispetto a un alpinista".
    Giornalista di Trieste, tra gli scrittori sloveni contemporanei più tradotti in italiano, Jelincic negli anni - ricorda - ha portato a termine tre spedizioni himalayane. E nel suo libro "Gli eroi invisibili dell'Everest" (Bottega errante editore), presentato questa sera, ha deciso di raccontare la "forza, l'energia degli sherpa", ovvero di chi lo ha accompagnato in queste missioni. "Mi hanno trasmesso un'energia tale che a un certo punto ho deciso che avrei dovuto scrivere un libro su di loro". Ed è così, ha spiegato, che è nata la nuova esperienza letteraria "mettendo insieme le leggende, la forza mistica degli sherpa e anche un 'giallo' in alta montagna, un genere che a me piace".
    Il libro racconta di una spedizione americana che parte alla conquista dell'Everest. Mark, uno psichiatra quarantenne, alpinista, viene chiamato a farne parte dal suo amico Paul, capospedizione, per cercare di chiarire assieme a lui l'inspiegabile sparizione di due amici comuni, avvenuta l'anno prima proprio su quella montagna. La spedizione parte, accompagnata dagli sherpa, ma oscuri eventi rallentano la regolare ascesa. Oltre all'avventura degli alpinisti sull'Everest e l'irrinunciabile lavoro degli sherpa, il libro racconta le piccole lotte per la supremazia nelle spedizioni, il desiderio di essere i primi a toccare la cima, la frustrazione per il fallimento di una giornata e la gioia del raggiungimento della vetta.
    "Noi - prosegue Jelincic ripercorrendo la sua esperienza - abbiamo scalato una variante sull'Everest e abbiamo raggiunto la cima per la via cosiddetta 'classica', senza arrampicate". Poi però, "in 4-5, abbiamo fatto una prima scalata di 1.500 metri e senza gli sherpa sull'Himalaya non avremmo fatto quasi niente.
    Le loro sono storie sono interessanti e vanno raccontate. Noi per loro siamo moderni conquistatori e forse anche un po' schiavisti. Li paghiamo certo, ma loro, accompagnandoci, sono disposti a morire per noi". (ANSA).
   

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