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Brexit: Gran Bretagna 'vede' accordo sui servizi finanziari, Ue frena

City respira ma incertezze restano. Bufera su 'tesoriere' Farage

Brexit: Gran Bretagna 'vede' accordo sui servizi finanziari, Ue frena

Redazione Ansa

LONDRA - Schiarita in vista sul destino post Brexit dei servizi finanziari fra Londra e Bruxelles. Almeno su quello immediato. La Gran Bretagna ci crede e - anche se dai palazzi dell'Ue arriva un bel colpo di freno e se le incognite rimangono tutte - la City tira un mezzo sospiro di sollievo. A preannunciare lo spiraglio è una fonte governativa del Regno citata dal Times stando alla quale, nell'ambito di questo capitolo del negoziato, Theresa May sembrerebbe essere riuscita a strappare un compromesso su un regime di "equivalenza" normativa e regolamentare tale da assicurare agli operatori che arricchiscono la piazza londinese di mantenere l'accesso al mercato europeo. Senza dover pianificare un esodo di massa. La soluzione - più transitoria che strutturale, nel giudizio degli analisti - non è in effetti confermata ufficialmente. Ma comunque dà fiato alla sterlina e lascia intravvedere una prima alternativa al temutissimo salto nel vuoto repentino.

 

A mettere i puntini sulle 'i' arriva peraltro a stretto giro di posta la precisazione del capo negoziatore francese dell'Ue, Michel Barnier, che definisce "fuorvianti" i toni del Times. E ricorda come l'equivalenza non possa essere considerata a rigore il frutto di un'intesa, bensì una concessione unilaterale. Una concessione che Bruxelles offre "in modo autonomo", per "alcuni servizi finanziari", e che può "revocare" in ogni momento. Insomma, non più di una mano tesa dei 27 verso il governo May per il futuro: analoga a quella garantita ad "altri Paesi terzi" e "nel pieno rispetto dell'autonomia di entrambe le parti". Anche messa così, per la City resta comunque una notizia positiva in tempi d'incertezze.

 

Incertezze che d'altro canto continuano a far sentire il loro peso. Come conferma la prudenza ostentata del governatore della Bank of England, Mark Carney, a margine della decisione dell'istituto d'emissione di mantenere inalterati allo 0,75% i tassi e della diffusione di dati aggiornati che limano su persistenti livelli modesti (+1,3% nel 2018, +1,7 nel 2019) la crescita del Pil. Un contesto sullo sfondo del quale Carney non manca di evocare il pericolo di un autentico shock per l'economia del Paese - con intoppi a "frontiere e catene di approvvigionamento" e interi settori del business nazionale sotto pressione - in caso di no deal finale. Un incubo non ancora scongiurato, nonostante le parole di fiducia rivolte dalla premier May agli imprenditori della European Round Table of Industrialists, ricevuti ieri a Downing Street. Mentre si ridimensiona a semplice auspicio l'indicazione azzardata dal ministro per la Brexit, Dominic Raab, di un possibile accordo di divorzio complessivo con l'Ue (nodo irlandese incluso) entro la scadenza esatta del "21 novembre".

 

Le divisioni non cessano d'incombere del resto neppure sul fronte interno. Non tanto per le speranze di una rivincita referendaria invocata dagli anti-Brexit più combattivi (ma esclusa dal governo Tory e al momento improbabile) quanto per il clima da resa dei conti fra i 'reduci' della campagna di due anni fa. E' il caso di Arron Banks, controverso miliardario britannico e già donatore principe dell'Ukip di Nigel Farage, appena deferito dalla Commissione Elettorale alla National Crime Agency assieme alla collaboratrice Liz Balney per un'indagine penale sulla presunta violazione delle norme sui finanziamenti raccolti a suo tempo per la piattaforma 'Leave.eu': quella guidata da Farage. Il sospetto, già sollevato in commissione ai Comuni e respinto dall'interessato come una "ridicola montatura politica" ispirata da chi non ha mai accettato il voto del 2016, è che Banks abbia nascosto flussi di denaro provenienti da imprecisate fonti "non consentite": ossia dall'estero.

 

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