Emilia Romagna

Strage di Corinaldo, la banda si spacca: patto silenzio a prova interrogatori

'Non ho spruzzato spray, non ero in contatto con gli altri'

Redazione Ansa

BOLOGNA, 5 AGO - Il fronte della banda modenese dello spray al peperoncino si spacca davanti al primo degli interrogatori di garanzia fissati per i sette indagati, sei giovani e il 65enne presunto ricettatore, ma in realtà si era già incrinato nei mesi scorsi, a indagini ancora in corso, quando il gruppo di Andrea Cavallari, Moez Akari, Aouhaib Haddada - cui spesso si associa Badr Amouiyah - punta già il dito contro Ugo Di Puorto e gli altri. Una demarcazione tra le due batterie segnata anche dal "patto" che, stando a quanto emerge, univa nel silenzio lo stesso Di Puorto con Amoruso, il ragazzo della banda deceduto ad aprile, e Raffaele Mormone.

I fatti tragici di Corinaldo sono rievocati spesso nelle conversazioni dei ragazzi e in almeno un'occasione sono accostati alla notizie dei rivali torinesi, accusati di aver spruzzato lo spray urticante in piazza San Carlo in cui morì una donna. La sera del 19 aprile, in auto insieme, Cavallari e Akari citano gli arresti di Torino e pensando alla Lanterna Azzurra danno la colpa agli "altri", quelli con cui hanno agito insieme a Corinaldo ma che considerano in qualche modo meno capaci. "Immagina Ugo Di Puorto e l'altro come faranno", dice Moez. "Tra poco verranno a prenderli, "questi bamboccioni di merda hanno bruciato... Hanno ucciso le persone", "tutta colpa loro". E poi, a settimane di distanza, temono anche che gli "altri" possano parlare e mettere nei guai anche loro. Il 5 maggio in auto Andrea e Moez tornano a parlare di Corinaldo e facendo riferimento alla situazione di panico generata lasciano intendere che si è creata per colpa di Di Puorto e Badr Amouyah. "Andrà all'inferno", dice Moez di Ugo. Gli fa eco un preoccupato Andrea, "lui parlerà".

'Dopo' Corinaldo, la serata maledetta tra il 7 e l'8 dicembre scorso in cui il "giochino" dei furti a strappo è finito "con sei morti", una linea tra i due gruppi è segnata. Ne è un tassello anche quel "patto" di silenzio che si instaura fra tre di loro. In particolare tra Di Puorto e Amoruso, il cui nome finisce nell'indagine ma che è morto a fine aprile in un incidente stradale. I due sono amici stretti, con Ugo che su Facebook - ora il suo account è oscurato - lo piangeva il giorno dopo l'incidente mortale, il 23 aprile, scrivendo: "Sarai sempre nel mio cuore fratello mio sei il mio angelo".

I due, intercettati a telefono il 5 marzo, discutono del comportamento di Raffaele Mormone che, per un disguido con Di Puorto per un'errata ripartizione degli utili dopo una 'serata' aveva deciso di non collaborare più con i furti (decisione rientrata a strettissimo giro), e parlano di un episodio che li ha uniti. "Siamo noi", dice Eros, "da quella sera e come se fossimo solo noi tre fra'", "non è che lo abbiamo scelto ci siamo trovati quella notte fra' ridendo e scherzando abbiamo detto quelle cose e io le sto rispettando, quella cosa cioè e pure lui la sta rispettando", dice riferendosi a Raffaele. Ugo rassicura Eros: "Fra' la rispettiamo da allora non ti preoccupare".

Eros Amoruso non c'è più e non può difendersi. Ma per Ugo e Raffaele, cugini, la prova del nove per il reciproco silenzio è fra poche ore, con l'interrogatorio di garanzia.

Leggi l'articolo completo su ANSA.it