Regioni

Arte del '900 e ristorante All'Angelo, una storia veneziana

Novanta opere raccontano trama culturale di una città viva

Redazione Ansa

VENEZIA - Una "quotidianità" dell'arte a Venezia nei primi anni del dopoguerra, in spazi non usuali fuori dai circuiti di musei o gallerie, come un ristorante vicino a San Marco, fatta di incontri, discussioni, scambi, ipotetici pagamenti "in natura" - quadri in cambio di pietanze - slanci ideali di rottura, come il dare vita al "Fronte Nuovo delle Arti" e farlo morire sempre lì tre anni dopo, o commissioni di opere da parte del ristoratore. E' racconto che si dipana in uno spazio dove l'arte incontra la cucina, di un percorso di scoperta di un mondo che rischiava di essere disperso in mille rivoli e salvato da un collezionista, Luciano Zerbinati, al centro della mostra "L'Angelo degli artisti. L'arte del Novecento e il ristorante all'Angelo a Venezia", a cura di Giandomenico Romanelli e Pascaline Vatin (catalogo Lineadacqua), allestita alla Fondazione Querini Stampalia, fino al primo marzo 2020. Nei curatori e nella Fondazione la volontà di dare ne tempo testimonianza anche di altre realtà simili presenti in quegli anni veneziani, come "La Colomba" o "da Romano" a Burano.

Un'esposizione, attraverso una novantina di opere e un ricco apparato di documenti, foto e cataloghi, che ruota attorno al ristorante all'Angelo aperto dalla famiglia Carrain, nel 1927, e illustra momenti, in una Venezia, di una Italia uscita dalla guerra, di un sentire "comunitario", etico e politico, tra giovani destinati a lasciare il segno nella storia dell'arte della seconda metà del secolo scorso. E' il mondo di Vedova, Santomaso, Guttuso, Birolli, Turcato, Pizzinato o Leoncillo, solo per citarne alcuni, assieme al lavoro di divulgazione, nello specifico della storia narrata dalla mostra, del critico Giuseppe Marchiori. Sono gli anni del confronto-incontro con le nuove istanze e le aperture di nuovi mondi, portate quasi inaspettate dall'arrivo all'Angelo, con in mano un pacchettino dove è scritto un nome, Vedova, della collezionista americana Peggy Guggenheim, mossa dal desiderio di conoscere le avanguardie dell'arte in laguna e in Italia.

Di Peggy, in una delle sale, c'è il tavolo apparecchiato dove usava avere come commensali gli artisti, Di rilievo i disegni (anche Picasso, Giacometti o Matisse), i trittici dedicati alle origini e allo sviluppo della città - ancora Vedova, Santomaso, Pizzinato - i quadri di Perilli, di Guttuso, di Music e di altri esponenti di una realtà ricca di spunti e ideali. Una mostra che, a dirla con Romanelli, ricostruisce "un frammento non secondario della trama culturale di una città viva, dinamica, aperta e tollerante, curiosa e sempre disponibile a farsi teatro, scena e protagonista di indimenticabili ma forse non ancora finite epopee d'arte e di cultura". 

Leggi l'articolo completo su ANSA.it