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Caio Mario Garrubba, la strada per raccontare il mondo

A Palazzo Merulana uno dei maestri del fotogiornalismo del '900

Redazione Ansa

(di Luciano Fioramonti) (ANSA) - ROMA, 08 OTT - Henri Cartier Bresson lo avrebbe voluto nella sua mitica agenzia Magnun ma lui rifiutò per continuare a inseguire la vita con la libertà e l' indipendenza che lo resero un maestro solitario del fotogiornalismo del Novecento. Caio Mario Garrubba era molto più apprezzato all' estero di quanto non fosse in Italia e aveva la stoffa dei grandi nomi internazionali dello scatto, da Robert Capa a William Klein, ma a distinguerlo era la scelta della strada come il palcoscenico attraversato dalle persone con le loro emozioni e le loro storie, la vetrina di un ''proletariato universale'' raccontato nel suo vivere quotidiano, l' ambiente in cui fissare il momento decisivo. A lui rende omaggio Palazzo Merulana, a Roma, con la bella mostra fino al 28 novembre organizzata dall' Archivio Storico dell' Istituto Luce, che nel 2017 ha ricevuto il fondo di immagini del fotografo. I curatori Emiliano Guidi e Stefano Mirabella hanno lavorato a lungo per scegliere le 116 immagini, quasi tutte inedite, dall' immenso tesoro di centomila scatti, 60 mila negativi e 40 mila diapositive, lasciato in eredità da Garrubba. A tenerle insieme è proprio il punto di vista particolare, la ''stradale'' come la chiamava lui, quella fotografia di strada di cui è stato campione indiscusso.
    ''E' giunta l' ora di Gaio Mario Garrubba - spiega Guidi - di valorizzarne il lavoro rendendo riconoscibili le sue fotografie e dargli la giusta collocazione nella storia della fotografia internazionale. La 'street photography' è un genere oggi molto frequentato ma lui lo ha fatto prima di tutti negli anni Cinquanta. E' stato un precursore anticipando linguaggi maturati molto tempo dopo''. Napoletano, classe 1923, cominciò nel 1947 a lavorare da redattore del settimanale della Cgil ''Lavoro'', fondato da Giuseppe di Vittorio. Sei anni dopo eccolo fotoreporter freelance, viaggiatore per grandi reportage nei luoghi ''caldi'' del dopoguerra, la Spagna di Franco, la Russia di Kruscev, Polonia, Cecoslovacchia, la Cina di Mao (dove in due mesi scattò quattromila foto), le due Germanie, il Brasile, Gli Stati Uniti. Life, Stern, Le Nouvelle Observateur, Paris Match, Il Mondo, Epoca, L' Espresso sono tra le testate principali che pubblicavano le sue foto ma Garrubba non amava i lavori commissionati. Era un fotoreporter còlto che voleva essere libero di fotografare con metodi e tempi tutti suoi, preferiva vagabondare per le strade, come ha raccontato la moglie Alla Folomietov, perché gli interessavano i volti, gli sguardi, la vita quotidiana di uomini e donne senza sensazionalismo. Nelle sue foto ''non capita niente, sta solo passando la vita'', annota in modo appassionato Tano D'Amico nel bel catalogo. ''Pochi come lui -ha spiegato - hanno saputo far sentire la vita che passa. Che cosa rende vive certe immagini? La capacità propria dei vampiri di risucchiare la vita di chi guarda. Era in più bravo, il fotografo dell' anima inquieta e irriducibile di tutti noi''. Caio, sottolinea il maestro, ''mise in discussione tutti i regimi del mondo per tutta la vita. Nessun romanzo, nessun saggio riesce a rendere il mondo di quegli anni con la stessa fedeltà, intensità e sete di altri e più umani modi di vivere delle sue fotografie'' Per una una felice coincidenza, la mostra ''Freelance di strada'' che racconta la sua avventura artistica trentennale si apre pochi giorni dopo quella altrettanto bella che il Museo di Roma in Trastevere sta dedicando a Calogero Cascio, amico e collega di Garrubba, come lui morto nel 2015. Insieme i due aprirono nella Capitale l' agenzia Realphoto, espressione della ''scuola romana'' di fotogiornalismo. Entrambi, pur diversi, ''fotografi dell' umanità''. (ANSA).
   

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