Regioni

A Reggio "Objets trouvés" di Caminiti

All'Urban Center fino al 4/6 l'anima del mare plasmata dall'uomo

Redazione Ansa

 REGGIO CALABRIA - L'anima del mare plasmata dalle mani dell'uomo. "Manimarè" è il titolo dell'ultima mostra di Pino Caminiti che espone all'Urban center di Reggio Calabria fino al prossimo 4 giugno.
    All'interno di un bene confiscato alla criminalità organizzata, la città dello Stretto ha l'occasione di ospitare una delle poche realtà artistiche calabresi di "Objets trouvés", di cui Caminiti in poco tempo è diventato espressione.
    Dalla prima esposizione del giugno 2016, l'evoluzione di Caminiti è evidente, così come è altrettanto evidente che nulla è cambiato nel filo conduttore: Saline joniche e quello che il mar Jonio regala alla sua spiaggia, prima come territorio abbandonato all'incuria dell'uomo, oggi come possibile recupero architettonico-urbano in un modello di sviluppo sostenibile.
    "Non avrei mai potuto iniziare la mia esperienza artistica - spiega Pino Caminiti - senza un rapporto d'amore verso i luoghi dove ho scelto di vivere questa parte della mia vita".
    Gli oggetti trovati sulla spiaggia, trasfigurati dal mare e dal tempo "stabiliscono - sottolinea l'artista - un nesso fisico delle opere con il territorio e la sua storia".
    Suggestioni, impulsi, sensazioni che quelle stesse cose sprigionano, appena Caminiti le afferra prima ancora di iniziare a dar loro una forma. Così è l'oggetto, forse anche il mare, a guidare l'artista, a precedere l'opera nella mente. "Spesso è difficile - aggiunge - dire quanto mi lasci guidare dalla mia soggettiva creatività e quanto da una misteriosa forza intrinseca alle cose che raccolgo". E Saline, torna sempre nei discorsi, anche nei sorrisi, di Caminiti perché per lui non è solo il luogo magico fonte di ispirazione né, d'altra parte, è il cimitero senza speranza, che molti credono che sia, da cui raccogliere materiali utili alla sua arte.
    Caminiti è convinto che Saline possieda "una risorsa paradossale: la forza estetica dell'archeologia post-industriale, il fascino di un paesaggio brutalizzato ma sovrastato da strutture mute e maestose. Enormi figure di cemento e di ferro che giganteggiano a monte e a valle, fin dentro il mare".
    Se smantellare per ripristinare è un'utopia, ragionare sul recupero e la riqualificazione di una parte di esse come possibili attrazioni artistiche e culturali, per l'artista, significa concepire lo sviluppo in termini nuovi ed ecosostenibili. "Penso per un momento - dice - all'area (quasi museale) dei silos della ex Liquichimica. L'idea è quella dell'arte (e dell'etica) del riuso, della riconversione, della rigenerazione come rinascita. Un grande tema contemporaneo che sta occupando l'impegno, la passione e la professionalità di numerosi artisti, architetti ed urbanisti di tutto il mondo". Ed è proprio questo che in qualche misura sottende al suo lavoro.(ANSA).
   

Leggi l'articolo completo su ANSA.it