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Archeologia: a Melfi due sarcofagi, "capolavori" del passato

Sono quelli di Rapolla e quello di Atella, in prestito da Napoli

Redazione Ansa

(ANSA) - MELFI, 17 GIU - Due sarcofagi per un viaggio nel tempo: è possibile intraprenderlo fino all'8 novembre, nel museo archeologico nazionale "Massimo Pallottino" di Melfi (Potenza), dove in una sala sono stati collocati uno di fronte all'altro il "sarcofago di Rapolla" e quello cosiddetto "di Atella", prestato all'istituto lucano dal Museo archeologico di Napoli per allestire la mostra "Capolavori in rilievo".
    E' un lascito di "Matera capitale europea della cultura" nel 2019. Un'eredità più che degna, se si considera che lo "straordinario prestito" del museo partenopeo ha permesso di proporre ai visitatori di Melfi un "dialogo visivo" che racconta "l'importanza culturale e il ruolo ricoperto dal territorio del Vulture in età imperiale romana". Innanzitutto, però, la location: il castello di Melfi, dal quale Federico secondo emanò nel 1231 le "Costituzioni melfitane", si impone da solo all'attenzione del visitatore. Per descriverne la bellezza, basta citare una relazione del 1674 - quando il castello apparteneva ai Doria già da quasi un secolo e mezzo (l'ammiraglio Andrea Doria lo aveva avuto in dono da Carlo quinto nel 1531 - che lo definisce "bello, comodo e magnifico...
    capacissimo per alloggiare ogni Gran Signore e Corteggio".
    Il castello è sede del museo archeologico nazionale, con sale piene di reperti interessanti. Fra tutti, spiccava proprio il "sarcofago di Rapolla", rinvenuto a Rapolla (Potenza) nel 1856, "opera identitaria per la comunità locale". In marmo, di produzione microasiatica del tipo "a colonne", il sarcofago colpisce per le figure scolpite sui lati ma soprattutto per il coperchio, " a forma di letto da banchetto", su cui è distesa una figura di donna, con riferimento alla defunta. Di fronte a quest'opera è possibile vedere, fino all'8 novembre, il "sarcofago di Atella", dal 1897 nel Museo archeologico di Napoli. Fu la tomba di Metilia Torquata, come spiega l'iscrizione, appartenente alla potente famiglia dei Metilli, "imparentati con membri influenti della corte degli imperato Antonini" e proprietari di una tenuta presso Atella (Potenza).
    Il sarcofago fu trovato nel 1740. La cassa è decorata con il mito di Achille e Sciro, tema di numerose opere simili sia a Roma sia in Attica. Secondo la leggenda, Teti vuole impedire che il figlio venga arruolato per la guerra di Troia e lo nasconde nell'isola di Sciro, fra le figlie del re Licomede. Ma Ulisse lo scoprì grazie ad uno stratagemma dei suoi: il suono delle trombe e il rumore delle armi, simulazione di un attacco nemico, risvegliarono l'istinto di Achille, che imbraccia lancia e scudo, rivelando così la sua presenza. E al centro di uno dei lati lunghi del sarcofago è raffigurata proprio la scena: Achille con le armi e una delle figlie di Licomede, Deidamia, che se ne era innamorata, cerca di trattenerlo. A sinistra c'è la delegazione greca, con Ulisse (identificato dal berretto a punta, con l'inseparabile Diomede), che accorre verso il Pelide.
    A destra la regina con un mano un fuso, "simbolo della perfetta padrona di casa". Non sono meno belle le "due voluminose e ricche ghirlande", sorrette da un'aquila e sormontate da grifi, che sono sul retro della cassa. E' rimasta in piedi l'ipotesi che il sarcofago fosse destinato ad un uomo della famiglia dei Metilii e fosse diventato il sepolcro di Metilia successivamente. I due sarcofagi, considerati "capolavori assoluti della scultura di età romana", sono frutto di una "committenza di altissimo livello": proprietari terrieri che abitavano le numerose ville della zona, tutte non lontane dalle grandi vie di comunicazione, a cominciare dall'Appia. Una mostra che fa comprendere "l'articolato panorama di relazioni sociali, politiche ed economiche della regione negli ultimi decenni del secondo secolo dopo Cristo, durante il regno di Marco Aurelio e di Commodo". (ANSA).
   

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