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Gli animali che vivono ai poli sono più a rischio di estinzione

Lo indicano i dati su 290.000 fossili marini

Ricostruzione dei cambiamenti causati dall'aumento della temperatura in un ecosistema del tardo periodo Triassico (fonte: Maija Karala, Voices of Palaeoart)

Redazione Ansa

I cambiamenti climatici mettono a rischio di estinzione soprattutto gli animali che vivono nelle regioni polari e quelli che abitano in ambienti ristretti. Lo indica lo studio guidato dall’Università di Oxford e pubblicato sulla rivista Science, che ha cercato di individuare le specie più vulnerabili analizzando oltre 290.000 fossili di invertebrati marini come ricci di mare, lumache e molluschi vissuti negli ultimi 485 milioni di anni. I risultati potrebbero aiutare a identificare gli animali più a rischio e a mettere a punto strategie per proteggerli.

I cambiamenti climatici avvenuti durante la storia passata della Terra sono stati spesso responsabili della scomparsa di molte specie, ma finora non era chiaro quali fossero i fattori che permettono agli animali di sopravvivere o soccombere. Per rispondere a questa domanda, i ricercatori guidati da Cooper Malanoski si sono concentrati sui fossili di invertebrati marini che, vista la loro abbondanza, permettono di identificare con precisione quando e perché una specie si estingue.

I risultati indicano che, tra gli animali con le maggiori probabilità di scomparire, ci sono quelli esposti ai cambiamenti climatici più intensi, con variazioni importanti della temperatura, e quelli che vivono in condizioni climatiche estreme, come le regioni polari. Ma il fattore più importante per il rischio di estinzione è risultato essere la dimensione dell’area geografica: le specie che hanno a disposizione ambienti più ampi riescono a cavarsela più facilmente.

“Le prove che arrivano dal passato geologico suggeriscono che la biodiversità globale si trova ad affrontare un futuro preoccupante, date le stime previste sui cambiamenti climatici”, commenta Erin Saupe, co-autrice dello studio: “Se saranno sufficientemente grandi, potrebbero spingere il mondo verso una sesta estinzione di massa”.

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