Rubriche

Stelle rotanti come motori cosmici, all’origine dei lampi più violenti

Nuova luce su uno dei misteri più fitti dell’astrofisica

Rappresentazione artistica di una magnetar (fonte: ESO/L. Calçada)

Redazione Ansa

Le stelle rotanti note come magnetar, stelle di neutroni con un fortissimo campo magnetico che girano su loro stesse centinaia di volte al secondo, possono essere ‘motori cosmici’ di eccezionale potenza: ricercatori italiani di Istituto Nazionale di Fisica Nucleare, Istituto Nazionale di Astrofisica e Università americana Stony Brook, hanno infatti dimostrato per la prima volta che questi oggetti possono essere all’origine dei lampi gamma, esplosioni di breve durata ed enorme luminosità tra le più violente dell’universo. Lo studio, pubblicato sulla rivista The Astrophysical Journal Letters, getta dunque nuova luce su uno dei misteri più fitti e più indagati dell’astrofisica.

Si ritiene che i lampi di raggi gamma vengano prodotti nel processo di formazione di un buco nero, o nella fusione di due stelle di neutroni. Negli ultimi anni, tuttavia, è stata sviluppata un'altra ipotesi: i lampi potrebbero invece essere generati dalla formazione di una magnetar, oggetti di massa simile a quella del Sole concentrata nel volume di una grande città.

Secondo il gruppo guidato da Simone Dall’Osso, ricercatore dell’Infn e associato Inaf, una magnetar appena formata inizialmente cattura parte della materia che ancora sta cadendo a seguito del collasso gravitazionale: questo genera la parte iniziale e più brillante del lampo di raggi gamma, liberando un’enorme quantità di energia in poche decine di secondi. Quando il flusso di materia diminuisce, la rotazione del campo magnetico della stella inizia a respingere la materia stessa fiondandola via, l’energia rilasciata cala e con essa anche la luminosità, fino allo spegnimento del lampo.

“Il nostro studio spiega le diverse fasi dell'emissione di un lampo gamma e del suo graduale spegnimento”, commenta Dall’Osso. “I processi fisici coinvolti sono gli stessi che operano in altri sistemi, come nane bianche e stelle di neutroni ordinarie ma, applicati ad una magnetar, questi stessi processi portano al rilascio di enormi quantità di energia in tempi brevissimi, con segni distintivi che è possibile identificare”.

Leggi l'articolo completo su ANSA.it