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Progetto per riportare in vita il Dodo, estinto dal 1600

La sfida più ambiziosa della de-estinzione

Modello in cera del Dodo conservato nel Museo Nazionale di Storia naturale di Parigi (fonte: Jebulon, da Wikipedia)

Redazione Ansa

Dopo la tigre della Tasmania, il nuovo obiettivo del programma di de-estinzione dell’azienda americana Colossal Biosciences è il dodo, il grande uccello incapace di volare che popolava l’isola Mauritius e scomparso nel 1600 con l’arrivo dei colonizzatori europei. Per riportarlo in vita l’azienda americana investirà 225 milioni di dollari ma dovrà superare ancora molte sfide per migliorare le tecniche dell'editing genetico basate sulla tecnologia della Crispr.

Reso popolare da libri e film, dal buffo aspetto nonché dal nome stesso – che deriverebbe dal portoghese doudo per indicare sempliciotto, ossia facile da cacciare – il dodo popolava l’isola di Mauritius ma la sua popolazione calò rapidamente con l’arrivo degli europei, probabilmente per la riduzione del suo habitat e l’introduzione di specie aliene, come gatti, ratti e maiali. Simbolo della distruzione provocata dall’uomo il dodo ora potrebbe essere riportato in vita, o più precisamente de-estinto, grazie al nuovo progetto della Colossal Biosciences, azienda fondata dal genetista George Church. La Colossal aveva già fatto parlare di sé per il programma di de-estinzione della tigre della Tasmania e del mammuth peloso, su cui i ricercatori hanno fissato l’obiettivo di farne nascere uno nel 2027, ora ha avviato un nuovo ambizioso progetto.

Per riuscire a riportare in vita l’uccello estinto sarà però necessario vincere nuove e più ambiziose sfide, a differenza degli altri animali, non si tratta infatti di un mammifero. Il piano dei ricercatori prevede di partire dal parente più prossimo del dodo, il piccione delle Nicobare, da cui coltivare cellule germinali primordiali specializzate (Pgc) e modificarne le sequenze genetiche – usando la tecnica Crispr – per ‘ripristinare’ il codice genetico del dodo. Le nuove sequenze dovrebbero poi essere inserite in embrioni. Una sfida enorme che aiuterà a migliorare le tecniche genetiche ma i cui vantaggi concreti restano però ancora poco chiari: “non sarebbe meglio spendere quei soldi – ha commentato su Nature la direttrice della Fondazione per la fauna selvatica a Mauritius, Vikash Tatayah – per ripristinare l'habitat a Mauritius e prevenire l'estinzione delle specie?”.

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