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C'è una nuova spia del Parkinson, utile per la diagnosi precoce

E' nel sangue, livelli diversi in uomini e donne

Cellule del sangue (fonte: Arek Socha/ Pixabay, da Wikipedia)

Redazione Ansa

C’è una nuova spia della malattia di Parkinson, una traccia chimica scoperta nel cervello che rende possibile la diagnosi precoce e che, poiché è presente in livelli diversi in uomini e donne, apre anche la strada alla medicina di genere per questa malattia. La scoperta, italiana, è pubblicata sulla rivista Neurobiology of Disease e si deve alla ricerca condotta da neuroscienziati, biochimici e neurologi del centro di ricerca Ceinge Biotecnologie Avanzate Franco Salvatore, dell’Università Vanvitelli di Napoli, dell’Università di Pavia e dell’Ircss Mondino di Pavia.

La nuova spia del Parkinson è il livello anomalo, nel sangue, dell’aminoacido D-serina. La ricerca indica che se le concentrazioni di D-serina nel sangue sono alte, i sintomi si manifestano più tardivamente; al contrario, se i livelli di questo amminoacido sono bassi, i sintomi compaiono prima. Un dato, osservano i ricercatori, che suggerisce “un possibile effetto neuroprotettivo del D-amino acido sull’insorgenza della malattia”. Sono stati inoltre scoperti livelli di D-serina elevati in pazienti di sesso femminile, mentre non si sono riscontrate differenze tra maschi con la malattia e rispettivi casi controllo.

Questa scoperta, osservano gli autori della ricerca, apre nuovi scenari di applicazione della cosiddetta medicina di genere nell’ambito della malattia di Parkinson. Nel frattempo, la ricerca prosegue per verificare se le alterazioni del metabolismo della D-serina possono essere legate allo stress ossidativo, un altro fattore che studi precedenti indicano implicato nella comparsa della malattia di Parkinson. “Si tratta di uno studio preliminare, che potremo approfondire su casistiche di pazienti più ampie”, osserva Alessandro Usiello, direttore del Laboratorio di Neuroscienze traslazionali del Ceinge e professore di Biochimica clinica dell’Università Vanvitelli, che ha condotto la ricerca con Enza Maria Valente, responsabile del Centro di ricerca in Neurogenetica della Fondazione Mondino, e dal con il neurologo Alberto Imarisio, e dottorando all’Università di Pavia.

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