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Biologia sintetica, primi test sull'uomo dei farmaci viventi

Sono batteri con Dna modificato

Il batterio Escherichia coli è stato modificato con le tecniche della bioogia sintetica per diventare uno dei primi farmaci viventi sperimentati sull'uomo (fonte: Fernan Federici e Jim Haseloff/Wellcome Coll./CC BY)

Redazione Ansa

La biologia sintetica si prepara a scendere in campo: stanno infatti cominciando le prime sperimentazioni sull'uomo di batteri geneticamente modificati per diventare farmaci 'viventi'. I test clinici sono stati autorizzati dagli enti regolatori statunitensi come forme di terapia genica per combattere diabete, ulcere da chemioterapia e rare malattie metaboliche, ma restano molti dubbi sui rischi che potrebbero porre alla salute umana, come riporta il sito della rivista Nature.

Tra i protagonisti di questa nuova era della biologia sintetica c'è la company Synlogic di Cambridge, che ha modificato un comune batterio dell'intestino, l'Escherichia coli, ottenendone due nuove versioni: una per rimuovere l'ammoniaca che si accumula nel sangue dei pazienti con malattie metaboliche del fegato, e l'altra per eliminare gli accumuli neurotossici dell'aminoacido fenilalanina nella persone colpite da una rara malattia genetica chiamata fenilchetonuria.

Un'altra azienda, la Intrexon nel Maryland, ha invece modificato un batterio usato nella produzione casearia (Lactococcus lactis) in due nuove super versioni: la prima è in grado di combattere il diabete, producendo il precursore dell'insulina umana e una proteina che ne aumenta gli effetti nelle cellule; l'altra, invece, contrasta le ulcerazioni delle mucose provocate dalla chemioterapia. Sebbene questi microrganismi siano programmati per avere un effetto 'a tempo', altre aziende stanno sviluppando batteri geneticamente modificati capaci di colonizzare il corpo umano a lungo termine, ad esempio per potenziare le difese contro la trasmissione del virus Hiv.

Nonostante l'entusiasmo crescente, restano molte incognite riguardo la possibilità che questi batteri modificati possano trasmettere i loro geni ad altri microrganismi che vivono nel corpo umano, scatenando conseguenze imprevedibili. Per evitare questo rischio, diverse aziende biotech hanno pensato di introdurre le modifiche genetiche direttamente nel cromosoma del batterio e non nel plasmide, ovvero quella piccola molecola circolare di Dna che sta nel citoplasma e che i batteri spesso si scambiano acquisendo nuove proprietà, come la resistenza agli antibiotici.

Inoltre, sono stati costruiti degli 'interruttori' molecolari che dovrebbero impedire ai batteri modificati di sopravvivere fuori dal corpo umano. Questi sistemi di sicurezza però non funzionano sempre: uno studio sui topi condotto in Gran Bretagna, all'Università dell'Anglia Orientale, ha dimostrato che un batterio ingegnerizzato per trattare la colite è riuscito a trasmettere i suoi geni modificati ad un altro microrganismo dell'intestino in appena 72 ore.

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