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Coronavirus: ricerca, l'approccio veneto è stato vincente

Ha puntato su servizio territoriali più che sugli ospedali

Una piazza di Verona

Redazione Ansa

"In Veneto, il tasso di casi (di Covid-19, n.d.r.), il tasso di mortalità e le infezioni degli operatori sanitari sono stati notevolmente inferiori rispetto alla Lombardia" e "l'approccio veneto basato sulla comunità sembra aver ridotto un'ampia gamma di esiti negativi". Lo scrivono quattro ricercatrici italiane (Nancy Binkin, Stefania Salmaso, Federica Michieletto, Francesca Russo) in uno studio che mette a confronto l'approccio di Lombardia e Veneto verso il coronavirus, pubblicato sul sito scienzainrete.it.
    Le ricercatrici mettono in luce come "alcune regioni, tra cui la Lombardia, hanno creato una vasta rete di servizi clinici e ospedalieri, ma hanno diminuito i finanziamenti per le attività di sanità pubblica e i laboratori pubblici. Altre, come il Veneto, hanno continuato a sostenere una forte rete di sanità pubblica con il coinvolgimento della comunità".
    Al primo aprile 2020, in Lombardia sono stati eseguiti 12,1 tamponi per 1.000 residenti, in Veneto 23. In Lombardia sono stati ricoverati il 51,5% dei casi di coronavirus, in Veneto il 25,1%. L'isolamento domiciliare è stato praticato nel 43,5% dei casi in Lombardia, nel 74,9% dei casi in Veneto.
    Il risultato di tutto questo è che (sempre al primo aprile) nella regione lombarda ci sono stati 445 morti per coronavirus ogni 100.000 residenti, e il 14,3% del personale sanitario è stato infettato. Nella regione veneta, i morti sono stati 196 per 100.000 residenti, e solo il 4,4% del personale medico è stato contagiato.
    Allo scoppio dell'epidemia, si legge nello studio, in Lombardia, "in assenza di altre opzioni, i pazienti sono stati inviati in ospedale, sovraccaricando le risorse umane e i letti esistenti e diluendo inevitabilmente la qualità delle cure". I medici di base si sono ritrovati in prima linea con i malati, e 17 di loro sono morti.
    In Veneto invece "la maggiore integrazione dei servizi sanitari e ospedalieri a livello locale e la presenza di una forte infrastruttura sanitaria pubblica" hanno permesso un approccio "comunitario": "test a tappeto, tracciamento dei contatti e limitazione del contatto con le strutture sanitarie, ove possibile attraverso team diagnostici mobili e un attento monitoraggio a domicilio. Il tutto facilitato da una rapida comunicazione attraverso un sistema informatico".
    I medici di base inoltre sono stati protetti, "privilegiando le visite telefoniche piuttosto che quelle di persona e utilizzando un'équipe sanitaria pubblica mobile". Il risultato è che fra i medici di base veneti non ci sono stati morti.

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