Diabete

In oltre 500 milioni con diabete nel mondo, raddoppio nel 2050

Ne soffre oltre un over-65 su 5

Redazione Ansa

Più di mezzo miliardo di persone convivono con il diabete nel mondo (il 96% dei casi sono di diabete di tipo 2) e si prevede che questo numero raddoppierà fino a raggiungere 1,3 miliardi di persone nei prossimi 30 anni: è il dato allarmante riportato oggi su The Lancet.

    Lo studio è stato condotto all'Università di Washington utilizzando lo studio Global Burden of Disease (GBD) 2021: i ricercatori hanno esaminato la prevalenza, la morbilità e la mortalità del diabete in 204 Paesi e territori per età e sesso tra il 1990 e il 2021 e hanno fatto previsioni sulla prevalenza del diabete fino al 2050. Hanno inoltre fornito stime del diabete di tipo 1 (T1D) e del diabete di tipo 2 (T2D) e quantificato la percentuale del carico del T2D attribuibile a 16 fattori di rischio.

    I calcoli più recenti e completi mostrano che è il 6,1% della popolazione globale ha la malattia, e che il diabete è una delle 10 principali cause di morte e disabilità. Il diabete colpisce il 9,3% delle persone in Nord Africa e Medio Oriente, e si prevede che questo numero salga al 16,8% entro il 2050. Il tasso in America Latina e nei Caraibi dovrebbe salire all'11,3%.
    Inoltre il diabete colpisce nel mondo oltre un over-65enne su 5, quasi un individuo su 4 (24,4%) tra le persone di 75-79 anni.

    Il Nord Africa e il Medio Oriente hanno registrato il tasso più alto, pari al 39,4%, in questa fascia di età, mentre l'Europa centrale, l'Europa orientale e l'Asia centrale hanno registrato il tasso più basso, pari al 19,8%.
    L'eccesso di peso (elevato indice di massa corporea - BMI) è risultato il fattore di rischio principale per il T2D - responsabile del 52,2% della disabilità e della mortalità da diabete di tipo 2 - seguito da rischi alimentari, rischi ambientali/occupazionali, fumo, scarsa attività fisica e consumo di alcolici.

    "Il rapido tasso di crescita del diabete non è solo allarmante, ma anche impegnativo per tutti i sistemi sanitari del mondo, soprattutto se si considera che la malattia aumenta anche il rischio di cardiopatia ischemica e ictus", dichiara Liane Ong, autrice principale e ricercatrice presso la University of Washington School of Medicine. 
   

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