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Lupo Rattazzi, nei folli anni '70 Agnelli salvò la Fiat

A 20 anni dalla morte dello zio il ricordo del figlio di Susanna

Redazione Ansa

  "Essere a capo di una fabbrica di automobili negli anni '70 era davvero complicato. L'Italia era un Paese folle, imperavano la cultura antindustriale e il terrorismo. Non arrendersi è stata un'impresa notevole. Mio zio ha avuto il coraggio di non abbandonare una partita che sembrava impossibile vincere". Sono le parole di Lupo Rattazzi, il figlio di Susanna Agnelli, sorella di Gianni. Il presidente della compagnia aerea Neos, in passato nel board di Exor e di Alpitour, ricorda, in un'intervista all'ANSA, lo zio, l'Avvocato, scomparso vent'anni fa, il 24 gennaio 2003. "Era un personaggio unico. In questi giorni circolano sui social, in particolare su Instagram, alcune interviste mitiche, come quella di Minoli. Si risentono le sue battute indimenticabili", dice Lupo Rattazzi. "Ho un ricordo molto vivo. Con i nipoti più giovani non si comportava come uno zio, ma come un amico. Gli piaceva stare con i giovani, avevamo la sensazione di avere un rapporto con un nostro coetaneo perché era giovanile, esuberante. Non saliva mai in cattedra. Voleva essere amabile, metteva tutti a proprio agio. Mi ha insegnato il buon gusto, a non approfittare mai della propria posizione, il fair play". Rattazzi parla dei rapporti dell'Avvocato con la famiglia. "Per la moglie Marella aveva un grande rispetto, erano una squadra.
    Su Edoardo ha ammesso che il suo è stato un fallimento.
    Margherita? Ha disonorato la sua memoria. Ha ereditato molto dal padre, ma di certo non lo stile, la classe e l'eleganza". A John Elkann riconosce il merito di avere saputo raccogliere l'eredità del nonno, ma anche le sue intuizioni: "Gianni Agnelli aveva capito che in Europa sarebbero rimasti pochi costruttori. E John lo ha ascoltato e ha fatto in modo che la Fiat, oggi Stellantis, potesse avere un ruolo da protagonista". Ci sono due episodi che Rattazzi ci tiene a raccontare. Il primo riguarda la passione di Gianni Agnelli per il calcio. "Nel 1982 mi portò a New York in giornata per vedere la partita dei migliori giocatori europei contro il Resto del Mondo. Venne con noi Jas Gawronski e ci raggiunse Kissinger. Mi colpì la sua energia, la sua passione". Il secondo è legato al ruolo di "parente severo, a cui non si poteva dire di no": "Un giorno mi chiamò alle 4 della mattina buttandomi giù dal letto per dirmi che entro le 9 dovevo essere a Fiumicino perché dovevamo partire con Edoardo per fare un viaggio d'istruzione in Russia. Un ordine perentorio". C'è anche un ricordo legato all'ultimo incontro: "M'impressionò come, in una situazione di estremo stress dovuto alla malattia, al dolore, riusciva a esibire la sua incredibile educazione. Eravamo a cena con lui, io e un mio amico, pochissimi giorni prima che morisse. Si scusò perché non stava bene, con il suo fare educato. Fino all'ultimo ha mantenuto simpatia, umanità, savoir faire". Un pensiero finale: "Era una persona che avresti pensato non sarebbe morta mai, gli ultimi mesi vederlo in preda alla malattia è stata una delle cose più choccanti della mia vita, Era l'emblema della forza fisica, della vitalità".

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