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Scuola, la lezione frontale? Non serve, è superata

Novara, stimoli, interazioni con i compagni sono le chiavi per l'apprendimento

Lezione a scuola foto BraunS iStock.

Redazione Ansa

La lezione frontale? non serve. Per il pedagogista Daniele Novara "la lezione frontale, su cui si basa ancora il nostro sistema scolastico, si fonda su una grande illusione: gli alunni "devono ascoltare".

Se ne è dibattuto al Teatro Carcano di Milano, in un convegno organizzato dal Centro Psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti (cpp) e patrocinato dal Comune di Milano. In platea i posti sono tutti esauriti, con mille insegnanti di scuola primaria e secondaria, educatori della scuola dell'infanzia, dirigenti scolastici, counselor, psicologici, arrivati da tutto il Nord Italia.

Come dimostrano tutte le ricerche neuroscientifiche, bambini e ragazzi apprendono dall'imitazione (i neuroni a specchio!), dall'interazione sociale con i compagni e nel fare esperienza diretta, usando le conoscenze acquisite imparano ad affrontare i problemi". Conclusione? "Mille ragioni psicoevolutive e neurocerebrali ci dimostrano che apprendere dalla lezione frontale è molto difficile, per non dire impossibile". E la scuola italiana "è ingabbiata nella didattica della "risposta esatta"", con quiz e test a crocette che "sviliscono le capacità di apprendimento di ragazzi".

E come la mettiamo con il digitale? "Di male in peggio. Programmi e investimenti si sono tutti rivolti alla tecnologia nella convinzione che in questo modo si sarebbe miracolosamente risolto il progressivo declino di motivazione, interesse e rendimento scolastico delle nuove generazioni di bambini e ragazzi. Invece, a un problema irrisolto ne abbiamo aggiunto un altro, che peggiora ulteriormente la situazione. Il digitale, infatti, crea dipendenza da stimoli visivi e interattivi e diminuisce l'interesse nei confronti della realtà rendendo ancora più fragile la capacità di attenzione".

Quando impariamo a leggere e scrivere iniziamo a riconoscere le lettere in base a linee, curve e spazi vuoti, e mettiamo in atto un processo di apprendimento tattile che richiede l’uso sia degli occhi che delle mani stimolando la strutturazione di importanti circuiti cerebrali dedicati alla lettura, che si attivano solo quando provando a scrivere le lettere a mano e non digitando su una tastiera. Scrivere a mano sviluppa capacità visive, viso-motorie e viso-costruttive che l'uso della tastiera non stimola. Inoltre, la motricità fine legata alla scrittura influenza anche le capacità mnemoniche. Da recenti studi emerge un altro fatto molto interessante che nella scuola primaria i temi scritti a mano libera risultano più creativi e, migliore anche per la capacità critica. Per diventare uno strumento utile all’apprendimento la tecnologia deve restare all’interno di una cornice di utilizzo collettivo e sociale come può essere il caso di due o tre computer da utilizzare a gruppi in classe o della LIM (Lavagna Interattiva Multimediale) .

E quindi, che fare? "Investire sulla formazione metodologica degli insegnanti, dalla scuola primaria alle superiori, offrendo loro - suggerisce Novara - dispositivi pedagogici innovativi, per liberarli finalmente dagli sterili automatismi del passato". Il nuovo modello di riferimento metodologico elaborato dal pedagogista dovrebbe avere tre parole chiave: azione, osmosi sociale, opportunità. Perché si impara facendo, nel gruppo e dal gruppo, quello che si vuole e si può. E dovrebbe seguire precise condizioni procedurali: impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche; proporre e costruire esperienze; attivare riconnessioni e scoperte; riutilizzare in contesti e momenti diversi quello che si è appreso.

La lezione frontale richiede molta capacità di attenzione, che, come dimostrato da tante ricerche neuroscientifiche, non è sostenibile neanche dagli adulti, figurarsi da bambini e ragazzi. La lezione frontale non implica alcuna competenza pedagogica: si spiega, si richiede agli studenti lo studio individuale, attraverso la ripetizione dei contenuti spiegati, e, infine, si interroga e si valuta l'alunno.

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Una questione di attenzione
L’attenzione è “selettiva”, ossia sceglie di cogliere alcuni stimoli e ne ignora altri, da cui il cervello è bombardato simultaneamente. I bambini sviluppano presto l'attenzione “selettiva” e, piano piano, crescendo diventano capaci di gestirla in modo “volontario”, sviluppando nell'adolescenza una sempre maggiore capacità di concentrazione. Mantenere l'attenzione costante nel tempo, così come richiesto dalla lezione frontale, non è un processo stabile e progressivo, bensì un’alternanza continua, quasi ciclica, tra momenti di attivazione e pause. È un processo fisiologico, estremamente individuale, influenzato da numerosi fattori: le risorse individuali, la motivazione, le caratteristiche personali, la stanchezza. La massima capacità di attenzione si registra attorno ai 18/26 anni e non supera i 40/45 minuti di tempo. In classe l’apice di attenzione raggiunge i 10 minuti, poi cala progressivamente per altri 20 minuti e riprende a salire dopo circa mezz’ora dall’inizio della lezione. Inoltre, considerato che in classe alunni e studenti sono sottoposti a infiniti fattori di interazione e disturbo, è facile rendersi conto come la lezione frontale sia chiaramente fallimentare. Quindi, dopo 50 minuti di spiegazione, è normale che i ragazzi abbiano adottato la tecnica dello sguardo catatonico: si concentrano sull’insegnante senza minimamente ascoltarlo.
Non si impara da soli
Il migliore processo di apprendimento non si attiva mai in solitudine, ma nello studio di gruppo. Il genio intellettuale, che studia isolato, come Vittorio Alfieri che si lega alla sedia o Giacomo Leopardi rinchiuso nella biblioteca paterna, non sono modelli ma personaggi speciali, l'eccezione che conferma la regola. Le scoperte legate al sistema dei neuroni a specchio confermano l’importanza dell’interazione sociale per imparare: osservando gli altri nel nostro cervello si attivino le stesse aree necessarie per acquisire quelle informazioni. Inoltre, il gruppo attiva numerosi elementi emotivi e motivazionali e favorisce le capacità cognitive.

La scuola, per sua natura sociale, gestisce un processo di apprendimento di gruppo, in cui la logica dell’isolamento è fuori contesto. Nella pratica della scuola italiana constatiamo quotidianamente che nella maggior parte delle classi di ogni ordine e grado ha ancora un ruolo egemone la lezione frontale, che prevede la trasmissione nozionistica e individuale della risposta considerata “esatta”, che deve essere rielaborata in solitudine, nella convinzione diffusa che il confronto con gli altri sia solo una perdita di tempo, un elemento che disturba il tradizionale processo di apprendimento.

C’è poi un secondo aspetto strategicamente essenziale: il gruppo. A scuola si impara nel gruppo e dal gruppo. S'impara molto di più dai coetanei che dagli insegnanti. L'esempio dei compagni, rivelando i propri meccanismi personali in azione, stimolano più facilmente la comprensione e l’attivazione. Nella scuola imperversano il divieto di copiatura, la proibizione al confronto reciproco, lo scarso utilizzo dei lavori di gruppo, mentre sono sottostimate le potenzialità della peer education o insegnamento reciproco. La rielaborazione e valutazione individualizzata degli apprendimenti è necessaria, ma perché gli alunni ottengano migliori risultati è necessario - sostiene Nova - dar loro la possibilità di osservare e imitare quello che fanno i compagni. 
Non è possibile una didattica efficace senza il gruppo classe. Nel processo di apprendimento tutti agiscono in maniera opportunistica, ossia in maniera discrezionale, imparando soprattutto ciò che rispecchia il proprio interesse adattandolo alle proprie possibilità e risorse. È il meccanismo della sostenibilità individuale, quello che chiarisce l’inutilità del dare consigli: posso spiegarti benissimo quello che farei io, ma non diventerà mai quello che farai tu se non è sostenibile interiormente per te, se non aderisce alla tua logica di interazione con il mondo. Ognuno impara quello che vuole e che può: c’è uno scambio profondo fra le risorse individuali e l’esperienza che un allievo vive. Un docente competente sa cogliere e sfruttare le dinamiche opportunistiche a vantaggio degli obiettivi d’apprendimento, e sa riconoscere la diversità delle risorse valorizzando il percorso individuale più del risultato.
La maieutica come approccio vincente
Anche la maieutica, come la lezione frontale, risale alla notte dei tempi ma, al contrario di quella, risulta ancora oggi innovativa perché più aderente alle condizioni che permettono di imparare in modo efficace. Da Socrate a sant’Agostino, fino a Maria Montessori, Danilo Dolci o Paulo Freire, l’approccio maieutico all’apprendimento parte dall’assunto che, all’opposto della lezione frontale, l’attore del processo di apprendimento è lo studente, non il docente.
La maieutica è orientata a sviluppare la capacità di acquisire apprendimenti che portano l’alunno a fare da solo e a essere in grado di costruire delle competenze permanenti, non estemporanee né basate su performance puramente ripetitive. Può essere sintetizzato in un’idea: “Fare esperienza insieme agli altri e affrontare in gruppo i problemi che rendono capace di imparare autonomamente”.

Il nuovo insegnamento in 4 passi:
- impostare una situazione stimolo aperta, che generi problemi e domande maieutiche. Significa attivare e creare un momento di impatto e di sorpresa. Qualcosa che favorisca anche un decentramento, e l’incontro con l’inedito. È il meccanismo della motivazione estrinseca che però questa volta, invece di essere impostato classicamente sulla punizione o la gratificazione, funziona come stimolo. Ti attivo, ti coinvolgo, ti sorprendo, ti muovo.
- Proporre e costruire esperienze. Il ruolo del docente è quello di progettare un ambiente e delle situazioni di lavoro, non di sostituirsi allo studente nel percorso. L’obiettivo è l’azione: incontri, sperimentazioni, laboratori, percorsi, ricerche, confronti sono alla base di questa impostazione didattica, e il mezzo è il gruppo dentro al quale il percorso esperienziale si arricchisce delle risorse e delle potenzialità, come anche dell’esperienza del limite, di ciascuno.
- Attivare riconnessioni e scoperte. È la fase del debriefing. Dopo che l’esperienza è stata fatta occorre un lavoro in cui si cerca di capire, di riconnettersi a ciò che già si conosce, verificare ciò che è stato scoperto. È la fase della rielaborazione attiva del materiale che comporta anche il processo di memorizzazione, riproposizione e infine archiviazione di ciò che si è imparato.
- L’ultimo step del processo riguarda le ricadute operative e le esercitazioni. È l’operatività, la possibilità di riutilizzare in contesti e momenti diversi quello che si è appreso che garantisce l’aver imparato.
In questa logica, tanto antica quanto innovativa, la procedura didattica si svolge in una dinamica opposta a quella della spiegazione frontale che apparentemente appare semplice da gestire ma che, nella realtà, si rivela estremamente complessa, come precedentemente dimostrato.

 

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