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Bella Ciao e le Sardine, musica e politica non sono solo canzonette

I casi più eclatanti e discussi della melodia di lotta

Redazione Ansa

Da Bandiera Rossa all'intramontabile e sempre attuale Bella Ciao (utilizzata dalle Sardine, il neonato movimento anti-Salvini che sta riempiendo spontaneamente le piazza italiane), la musica è sempre stata, grazie al suo potere evocativo e coinvolgente, un canale privilegiato per veicolare emozioni, simboli e idee. Non stupisce quindi che le campagne elettorali e gli ambienti politici siano sempre stati intrisi di note e melodie. Sì, ma quali connessioni esistono tra partiti, movimenti politici e canzoni? Dagli inni ideologici degli anni appena successivi al '45 come “Bandiera Rossa” o “Fischia il vento” , tratto dalla melodia di una canzone popolare russa, per arrivare a quelli studiati a tavolino come il potente inno di Forza Italia, scritto dal Presidente Berlusconi in persona: chi tra coloro che avevano raggiunto l’età della ragione negli anni Novanta non ricorda almeno in parte le parole e la musica orecchiabile?
“Bella Ciao”, utilizzata oggi dalle Sardine e già riportata in auge dalla serie tv La casa di carta era in origine un canto delle Mondine piemontesi dei primi anni del Novecento, attorno al 1906. In questa prima versione non si cantava certo di resistenze belliche, ma dello sfiorire della giovinezza causata dal duro lavoro nelle risaie. Negli anni della Resistenza Bella ciao venne recuperata, trasformata nel testo e utilizzata come canto di saluto alle proprie amate da parte dei partigiani in partenza verso quelle battaglie che, spesso, significavano morte onorevole per i propri ideali. Tanti gli artisti che l'hanno cantata tra cui Milva, Giorgio Gaber, Goran Bregovich, persino Claudio Villa, i Modena City Ramblers.
Andrea Zoboli, dopo averne parlato in un programma radiofonico su Radio Città del Capo (Bologna), raccoglie i materiali frutto di anni di studio in un volume (Musica & politica storie di lotta, censura & reciproca convenienza, Odoya edizioni) che indaga i momenti salienti di questo rapporto dal Secondo dopoguerra ad oggi.
Gli “anni di piombo” diventano nell’ottica di Zoboli “La strategia della canzone” con al centro il concept album di De André “Storia di un impiegato”, che dipinge il percorso personale e politico di un lavoratore disilluso e affranto che da rudimentale bombarolo “anarchico fai da te” trova, ormai in carcere, il noi collettivo dell’organizzazione comune(ista) nella meravigliosa “Nella mia ora di libertà”.
Dall’altro lato i cantautori popolari subivano la richiesta di pezzi sempre più impegnati e schierati con veri e propri agguati ai concerti come quello che subì De Gregori nel 1976 al Palalido. Anche le dichiarazioni di non voler “essere tirati per la giacchetta” creò arte, basti pensare a “Sono solo canzonette” di Bennato, “Cantautore” di Graziani (1976), ma anche l’immortale “Avvelenata” di Guccini.
Il tema non è solo italiano: Zoboli apre il caso Labour-Brit pop. Nell’epoca musicale della Cool Britannia, Demon Albarn e i fratelli Gallagher tirarono la volata a Tony Blair. Ben più terribile ed edificante è la storia della musica contro l’Apartheid in Sud Africa purtroppo poco conosciuta da noi e quindi tutta da scoprire, fatti salvi i grandissimi nomi come Miriam Makeba e Hugh Masekela.
Anche la guerra fredda ha lasuacolonnasonora: dai danni alla canzone popolare statunitense del Maccartismo a quella volta in cui i CCP suonarono a Mosca, davanti a una platea di militari sovietici con la mano sul cuore l’iconica A ja ljublju SSSR. E poi ancora il 9/11 e l’anti-trumpismo, Bersani, Veltroni più De Gregori e Nannini, gli anni della Brexit e i musicisti pro e contro leave. 

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