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Violenza sulle donne, contro la strage basta parole servono fondi

Sbloccare soldi per centri antiviolenza e case protette, atti concreti per cambiare

Redazione Ansa

Secondo la Convenzione di Istanbul dovrebbe esistere un centro antiviolenza ogni 10.000 abitanti, ma in Italia i centri sono un ventesimo di quelli previsti. Oltre questo, secondo i dati raccolti dall’Istat, nel 2017 sono state 43.000 le donne che si sono rivolte a questi centri e i fondi pubblici erogati in quell’anno sono stati di 12 milioni di euro, ossia una media di 76 centesimi al giorno per ogni vittima. Nel 2019, le cose vanno anche peggio: i fondi in questione quest’anno non sono stati neanche ripartiti e i centri non hanno ancora ricevuto il sostegno economico annunciato dallo Stato, né hanno garanzie sulle tempistiche di erogazione. In un paese che vuole fare seriamente qualcosa contro la violenza sulle donne si capisce che quello dei mancati sostegni ai centri antiviolenza diventa una problematica molto grave e prioritaria. E' stato uno dei temi forti della manifestazione 'Non una di meno' del 23 novembre a Roma, della Giornata internazionale per l'eliminazione contro la violenza sulle donne del 25 novembre. E anche la campagna del 2020 in Italia di One Billion Rising è focalizzata sul sostegno ai centri antiviolenza.
Servono atti concreti per un cambiamento possibile. Si è sottolineato più volte la necessità di un cambiamento culturale per dare pari opportunità nel mondo del lavoro, pari diritti alle donne in ambito familiare e pubblico, sono stati fatti passi avanti ma non bastano perchè la società non va veloce, perchè la resistenza anche culturale di ambiti patriarcali è forte e infatti i numeri della violenza sulle donne sono davvero tragici, bisognerebbe soffermarsi a leggerli, a scandirli, sono così giganteschi da quasi non farsene una ragione. Eccoli
In Italia vittime almeno una volta nella vita sono oltre 6 milioni - leggi il report
"Negli anni - dice Isa Maggi, Fondazione Gaia, Sportello Donna di Pavia - abbiamo utilizzato l'istruzione, la cultura, l'arte, le pari opportunità nel mondo del lavoro e gli uguali diritti. Per sensibilizzare abbiamo disseminato l'Italia di #panchinerosse. In questi giorni moltissimi i convegni, le mostre, i seminari sulla violenza, le promesse, gli impegni assunti nelle aule parlamentari. Ma non ci sono fondi pubblici e sono erogati con discontinuità con modalità diverse da regione a regione. E soprattutto non c'è concretezza. Il settore pubblico non riesce a far fronte alla continuità nel tempo delle misure di contrasto alla violenza. È tempo di riabilitare gli investimenti privati e coordinarli in un mix di nuova economia con un programma di investimento coordinato su scala nazionale in tutti i beni comuni globali. Le case di accoglienza per le donne vittime di violenza e in fragilità economica e sociale sono beni comuni. Ci siamo battute per anni per attivare sempre più case di accoglienza per donne e case rifugio, adesso il modello che vogliamo attivare, senza scartare le forme usuali di contributo da parte di Regioni e di Ministeri, è un modello di gestione sostenibile delle case per le donne, dove si genera lavoro, buona occupazione di qualità e soprattutto un luogo dove potersi rigenerare personalmente e professionalmente. Saranno necessari investimenti nelle strutture che verranno messe a disposizione da realizzare con forme di "Social Capital", diffuso e distribuito sui territori. Mobilitare gli investimenti rapidamente e su vasta scala sarà una sfida per noi donne. Occorre un grande coordinamento nazionale per la trasformazione del sistema di accoglienza per le donne in fragilità, vittime di violenza, incentrata sulla trasformazione strutturale di edifici inusuali messi a disposizione e sul loro recupero ambientale. Si tratta di un modello significativo che determinerà la creazione di occupazione e potrà innescare progressi sociali e di valorizzazione territoriale, una vera trasformazione produttiva al femminile. Progetto per progetto andremo a cercare soluzioni in ogni parte d'Italia per creare un'opportunità unica di transizione verso un'economia al femminile di soluzione al dramma della violenza maschile di genere, su basi concrete. Il modello qui descritto ha il potenziale per generare benessere per le donne e i loro bambini accolti nelle strutture e un reddito. Garantire lo spazio politico per intraprendere questo progetto è anche un prerequisito per incoraggiare le donne a credere che un cambiamento è possibile e generare azioni collettive di sostegno ai progetto".
Di aiuti concreti parla anche il coordinamento di Non una di meno, la rete italiana, parte del network femminista internazionale, che il 23 novembre ha portato in piazza 100 mila donne (e meravigliosamente, anche tanti uomini, spesso studenti coetanei delle tante giovani che hanno manifestato a Roma). Ogni 72 ore in Italia una donna viene uccisa da una persona di sua conoscenza, solitamente il suo partner; 3 femminicidi su quattro avvengono in casa; il 63% degli stupri è commesso da un partner o ex partner; continuano le violenze di matrice omolesbotransfobica. La violenza non ha passaporto né classe sociale, ma spesso ha le chiavi di casa e si ripete nei tribunali e nelle istituzioni. "Per questo il lavoro dei centri antiviolenza femministi va riconosciuto, garantito e valorizzato. Difendiamo e moltiplichiamo gli spazi femministi e transfemministi, come la casa delle donne Lucha y Siesta di Roma sotto minaccia di sgombero. L'indipendenza economica e la libertà di movimento sono le condizioni fondamentali per affrancarsi dalla violenza. Ma servono atti concreti".

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