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Come sarà l’armadio del futuro? Un bel mix

Sempre più vintage, capi sostenibili e abiti 'on demand' con abbonamenti tipo Netflix

Redazione Ansa

Come sarà l’armadio del futuro? Diverso da quello cui siamo abituati. Conterrà sempre più vestiti di seconda mano e vintage di pezzi ricercati, con una storia alle spalle. Poi abiti a prezzi vantaggiosi e con l'intera catena produttiva trasparente e sostenibile.
Al tramonto, inoltre, il guardaroba pieno da scoppiare. L’armadio sarà infatti più leggero perché l’outfit lo affitteremo abbonandoci a speciali piattaforme come ora facciamo con Netflix o Spotify. Il nostro gusto, aiutato da particolari algoritmi, verrà accontentato senza dovere possedere niente*. Nel 2018 il 6% dei nostri look era di tipo ‘second hand’. Lo sarà, nei prossimi dieci anni, il 13% dei nostri vestiti. E se l’usato è destinato a raddoppiare farà affari soprattutto su piattaforme specializzate che vendono online come accade già oggi attraverso ThredUP, il più grande negozio dell’usato virtuale al mondo, oppure Plato’s Closet dedicato ai ventenni e, ancora, Vintag , portale italiano specializzato in vintage di qualità (abiti ed accessori usati con oltre 20 anni di età).
Gli abiti comprati effettivamente nei department stores passeranno dal 14% dello scorso anno al 9% nel 2028. La crisi del commercio al dettaglio non è una novità e non basterà più la maglietta del colore giusto a convincere il consumatore del futuro. Attireranno sempre l’attenzione, invece, i prezzi speciali ma più che outlet e saldi di abiti delle stagioni passate saranno gli ‘off-price’ (abiti del momento acquistati in stock dai rivenditori e perciò rivenduti a prezzi vantaggiosi) a fare aprire i portafogli, così fra dieci anni il 18% degli armadi avrà capi di questo tipo (nel 2018 erano il 15%).
Ma alla atavica domanda quotidiana ‘cosa mi metto oggi’ sarà più difficile rispondere perché le scelte includeranno anche altri valori, come la storia e la sostenibilità del singolo capo che sceglieremo di indossare. Se lo shopping fashion su Amazon si fermerà al 4%, gli abiti autentici che ‘parlano ‘ della loro storia e di sostenibilità nei siti specializzati riempiranno i nostri armadi. Saranno infatti vincenti i marchi che mostrano la ‘value chain’ della filiera produttiva, dalla scelta dei tessuti alla fabbrica, dalla logistica alla rivendita. Fra una decina di anni si prenderanno il 9% dello spazio dedicato in casa.
Faremo posto anche a qualche capo di fattura artigianale e di alto valore aggiunto, scelto e acquistato direttamente dai produttori, senza intermediari e venduto, ancora una volta, soprattutto online. Sono le vendite D2C (Direct to Consumer) che, dall’8% dello scorso anno saliranno all’11% in dieci anni. La strada è già stata intrapresa da brand di lusso artigianale venduto a prezzi equi, come l’italiana M.Gemi che produce calzature fatte a mano e su misura, il cachemire della Mongolia di Naadam e le calzature amiche dell’ambiente AllBirds.
Il 3 % dei vestiti che compreremo fra dieci anni, invece, sarà scelto in un modo che oggi potrà apparire alquanto bizzarro, ovvero abbonandoci ad apposite piattaforme online come ora si fa con Netflix o con Spotify. L’abbigliamento on demand è per adesso una novità (già rinomati nel mondo Rent the Runway, Le Tote e Stitch Fix) ma entro il 2028 il 3% dei nostri abiti sarà in affitto.
E la fast fashion che ha rivoluzionato il mondo della moda negli ultimi venti anni? Occuperà il 9% dei guardaroba, come oggi. Capitanata dai colossi, come lo spagnolo Inditex proprietario di Zara, lo svedese H & M e la holding pubblica giapponese Fast Retailing che include Uniqlo e Comptoir des Cotonniers.
*Le statistiche sull'armadio del futuro sono tratte da Resale report e The State of Fashion 2019, presentate a Roma da Francesca Tonelli, fondatrice di Vintag.

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