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Gucci contro le regole, divisa è camicia di forza

Frustini fetish e gonne a matita, uomini 'sexy e spaventosi'

Redazione Ansa

Si lasciano trasportare come automi dal nastro trasportatore, i piedi nudi, lo sguardo spento e i corpi chiusi in tute e abiti bianchi che ricordano delle camicie di forza, i modelli che aprono la sfilata di Gucci. Uno show nello show con cui Alessandro Michele denuncia la divisa come forma di oppressione. E a questa forma di controllo sociale, "io - dice il creativo - ho staccato la corrente". E non solo a livello metaforico: dopo i 60 look bianco e avorio con cinghie sulla schiena (roba da ospedale psichiatrico), le luci si spengono sulla sala, fredda come una clinica o un garage metropolitano, per riaccendersi subito dopo su un altro show, con la sfilata vera e propria, una voce sulla musica che dice "I'm not a normal person", e modelli che camminano veloci, guarda caso in senso opposto a quello di chi si lascia trascinare dalla società e ingabbiare dalle regole. Ed è un bello choc quando sui 4 tapis roulant, che dividono la sala dalle luci ospedaliere, escono i modelli, prigionieri di una "divisa che ti costringe all'interno dei codici che ti rendono funzionale e anonimo, una sorta - spiega Michele - di camicia di forza, che rappresenta il grado più alto della divisa e che diventa una forma di oppressione". Una prima parte di sfilata choc e infatti dopo la precisazione ufficiale: "Divise, abiti da lavoro e indumenti di costrizione, inclusa la camicia di forza, sono stati inseriti in apertura della sfilata Gucci Spring Summer 2020 come la versione più estrema di un'uniforme imposta dalla società e da coloro che la controllano. Questi abiti hanno avuto unicamente la funzione di veicolare un preciso messaggio e non faranno parte della collezione in vendita". 
L’antidoto del Direttore Creativo di Gucci a questo concetto è rappresentato dagli 89 look della collezione Spring Summer 2020, che trasmettono il concetto di moda come strumento di esplorazione e autoespressione, coltivando la bellezza e rendendo la diversità sacrosanta.

     Ma come si stacca la corrente? E chi può farlo? "La moda - riflette il creativo - con la sua apparente futilità ha restituito la libertà, anche dagli stereotipi". Attenzione però: anche la moda, come sistema economico e normativo, è "una grande piattaforma, un luogo di grande potere". E dunque? Come se ne esce? Come ci si riappropria della propria identità? Lui, quando ha iniziato il suo lavoro in Gucci, ammette di aver provato "a distruggerla in modo poetico, a farla a pezzi, perché era diventata solo marketing". Ora - e la collezione lo mostra perfettamente - ha capito che si possono prendere anche degli stereotipi per ribaltarli, per farli propri in modo diverso dall'originale. Così, per esempio, le ragazze escono in passerella con una cartucciera porta rossetto alla caviglia, con delle ghette di maglia metallica, persino con dei frustini.

    Elementi presi dal mondo equestre, che è nel Dna di Gucci - marchio storicamente da ricchi - ma ribaltati in chiave fetish: "ho messo gli ingredienti del brand in maniera mia, perversa, ho dato il frustino - racconta ancora Michele - a una ragazza che esce da un club, perché è evidente che seguire la moda è da veri pervertiti, persino un po' sadomaso". Anche nei panni di una mistress, con abiti trasparenti, guanti di pelle nera, calze a rete rossa, "le mie donne - riflette il creativo - più che sexy sono eleganti". Se la moda è "una grandissima chance di presa di coscienza", si può essere sexy cavalcando gli stereotipi come fanno le donne, con le loro gonne a matita con lo spacco, gli abiti sottoveste di pizzo, le tuniche plissé e quelle intagliate con i fiori, i top dorati, o travolgendoli come fanno gli uomini, ""sexy e spaventosi con le loro giacche asciutte", i pantaloni anni '70, gli stivali texani, il cappottino dal taglio femminile, rosa e con la manica a tre quarti. 

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