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Il circo di Dior in 20 foto spettacolari

A Parigi la sfilata Haute Couture primavera/estate di Maria Grazia Chiuri

Redazione Ansa

“Quel clown è un uomo o una donna? Né l’uno, né l’altra. È un clown”. È la fascinazione di questo universo meraviglioso e nel contempo grezzo, poetico ed essenziale, ad aver trascinato l’immaginazione di numerosi artisti. Christian Dior amava andare al Cirque d’Hiver dove Richard Avedon, straordinario complice di Monsieur Dior nella restituzione dell’essenza della sua moda, scattò nel 1955 la celebre foto Dovima tra gli elefanti, immagine ancora insuperata nel rendere la magia e la grandiosità della couture. Il tema del circo continua a riaffiorare nelle spettacolarizzazioni della Direzione Creativa di John Galliano. Ed è da questo caos immaginifico che parte Maria Grazia Chiuri per questa collezione haute couture primavera-estate 2019.

Tante suggestioni: la pelle della donna tatuata, memoria di quel circo vittoriano e dei suoi fenomeni grotteschi, diventa una tuta dai disegni meravigliosi che plasmano il corpo, diventando narrazione da indossare sotto gli abiti. I colori polverosi, declinati e intrecciati in una palette infinita, come quelli che impastano il sipario dipinto da Pablo Picasso per il balletto Parade, simboleggiano anch’essi quell’usura, quella polvere sottile che riveste gli abiti da scena. Le gonne ricamate o incrostate di paillettes opache da lunghe si accorciano fino a diventare tutù che alludono ai codici del circo, abitato da acrobate, domatori e cavallerizze. Chiuri fa appello a questa incredibile varietà di suggestioni per comporre una sua personalissima Parade, composta da pantaloni ampi, leggerissimi, stretti alla caviglia, che possono diventare tute magnificenti. Shorts neri si abbinano a camicie bianche trasparenti, completate da gorgiere o da nastri che sembrano sfilacciati dal tempo. Ritroviamo inoltre busti in pelle, marinière, e giacche impronta nera di quelle da domatore. L’abito geometrico del clown, bianco, sobrio o sfarzoso, è reinterpretato nei materiali, nei ricami e nelle proporzioni. Circo come luogo inclusivo, dove il clown, nella sua dimensione androgina e asessuata, diventa espressione di una possibile uguaglianza: il suo sguardo smaschera una modernità, e non sono più la bellezza, la razza, il genere o l’età a contare, ma la tecnica e l’audacia.

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